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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


L'emigrante astigiano

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 20 Novembre 2022, 12:47pm

Tags: #la storia

L'emigrante astigiano

Ad Asti - dove la massima gloria vivente è oggi un cantautore, Paolo Conte, da non confondere con tutti gli altri Conte che hanno riempito le pagine dei giornali di questi anni - uno è un allenatore di calcio e un altro l’ex capo del governo, due volte, “l’avvocato del popolo”, così poco noto a suo tempo, al punto che girava la battuta “Conte, chi? L’allenatore della Nazionale italiana?” - festeggiano stamane la presenza dell’astigiano emigrato più noto del mondo, il papa argentino, che di queste parti è originario.

Non che ad Asti manchino altri vanti cittadini. Per i più acculturati, cioè per le generazioni precedenti a questa dell’analfabetismo di ritorno, alla città piemontese va ascritta anche la paternità dell’accigliato Vittorio Alfieri, così ritratto nelle Urne dei Forti foscoliane.

Le immagini che girano del Papa emigrante a sua volta; che torna a far visita ai cugini ed ai nipoti “di provincia”, immagini che neppure a pensar troppo male, intendono dare del pontefice di Roma un’idea di semplicità e di familiarità, di cui peraltro si sente un gran bisogno, sempre; potremmo liquidarle come di maniera, o di propaganda.

Ma a pensar male si fa peccato, anche quando Andreotti avrebbe detto che però si coglie nel segno. Vogliamo fare la tara anche a questo? No.

Quello che altrove verrebbe liquidato come un occhio strizzato alla gente comune (è anche questo, populismo?), cioè come risposta alla pancia della gente; ciò che avremmo detto in passato “un debito pagato in nome della popolarità più trasversale”, nel nostro caso non può essere soltanto questo.

Quel Cristo a cui tutti diciamo di ispirarci, nell’opulento Occidente ed anche altrove certo; alle occasioni di convivialità e di condivisione con i più semplici non si è mai sottratto. Va a casa del pubblicano che era notoriamente immorale (ma i parenti di Bergoglio, per quel che ne so, son brava gente nda.). Ed incontra la samaritana. Si reca ad una festa di nozze ed accoglie la Maddalena. Frequenta una casa di amici (più di una invero) e si commuove per l’amico che danno per morto. Accorre da lui.

Non può essere la distanza e neppure l’estraneità al mondo la cifra del cristianesimo, anche se a starsene sempre in cattedra a giudicare e a dettar regole, si rischia di diventare solo giudici e despoti, legislatori disumani, distanti dalle reali condizioni di vita della gente, come certi esecutivi.

I bagni di folla e lo scendere in piazza di molti pastori, nel corso della storia (Agostino scrive pagine illuminanti sul tema) risponde a questa logica e, si spera, a questo sentire profondo.

Persino il più discusso e ieratico, irraggiungibile, tra gli ultimi pontefici (Pio XII), sarebbe sceso tra le macerie di Roma durante e dopo i bombardamenti sulla Capitale nel corso del II conflitto mondiale. Per non dire del coltissimo Paolo VI e della sua umana partecipazione al dramma del terrorismo e del rapimento Moro.

Non è la stessa cosa invece l’approssimarsi ai treni che partono per il fronte, dei pastori russi e moscoviti che benedicono ragazzi che vanno a morire per una ideologia che quei pastori condividono (“difendiamo la cristianità autentica” – sostengono) e per aggredire presunti eretici e corruttori.

Il che comporta che non è lo stare con la gente che depone a favore di chi con essa si mischia a ragione, ma le modalità con cui ciò avviene, gli obiettivi. Se sono quella pancia e quegli istinti che si incoraggiano e si assecondano, o se invece non avvenga il contrario: per sottrarre gli uomini tutti a certe trappole mortali. Nel nostro caso, la trappola potrebbe essere quella di un sistema, economico e sociale, di un modello, quello che inneggia ai consumi, allo spreco, e ai carichi umani di cui alleggerirsi che è sicuramente non cristiano ed è disumano.

In quest’ottica, tornare a casa, in provincia, dove sono le proprie radici (di emigrante), senza prese di distanza, è un messaggio inequivocabile di fraternità e di normalità.

Si ritorna a casa perché quello che siamo diventati poi, non è così estraneo alle cose e agli affetti da cui siamo partiti. La vera felicità sta nel saper collocare il proprio passato nell’economia della propria vita. Nel non rinnegare ciò che siamo stati. Le cose del presente non sono figlie di nessuno, del caso e neppure solo della nostra volontà.   

 

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