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cultura e spiritualità


Nwamena e il diritto di giocare

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 13 Novembre 2023, 12:28pm

Tags: #la storia

Nwamena e il diritto di giocare

Al di là del fatto che veder morire un giovane su di un campo di calcio o su di una pista di atletica è indubbiamente uno spettacolo traumatizzante, specie per i suoi compagni se non per buona parte del pubblico che di suo è abituato ad augurare la morte e Dio sa cos’altro agli avversari - per non dire di quello che scrive impunemente sui social – va precisato che, una volta a conoscenza dei rischi che si corrono continuando a gareggiare; una volta che si è stati debitamente informati dai propri sanitari – nessuna morte sarebbe preferibile, ritengo, di quella che sorprenda facendo ciò che più amiamo.

Da sportivo un po’ sconsiderato ed attempato, devo ammettere che un modo migliore, personalmente non saprei immaginarlo: “Ha fatto fino alla fine ciò che amava ed ha vissuto fino all’ultimo ciò che più lo appassionava”.

Magari tra cent’anni, o invece molto, molto meno, se dovessi immaginare l’ultimo passaggio, per me non saprei pensarne uno migliore. Sperando di capir poco al momento. E di non spaventare troppo i miei compagni di squadra.

Detto ciò ed in riferimento al recentissimo decesso del nigeriano Nwamena nel corso di una partita di campionato albanese, va chiarito innanzitutto che Nwamena era stato più volte avvertito del rischio che correva. Insomma lo correva coscientemente.

Se a spingerlo è stata la sola passione del calcio, piuttosto che non il bisogno di guadagnare o l’eventuale irresponsabilità di chi lo ha tesserato, nulla troverei da eccepire. Benché i soloni del calcio e quelli della morale, il giorno dopo siano partiti a testa bassa per condannare quelle federazioni e quei club che certi divieti non li considerano tassativi, lasciando invece spiragli a quella che comunemente diremmo imprudenza o anche libera scelta.

La cultura anche legislativa dei Paesi o è interdittiva e punitiva. O invece responsabilmente libertaria. Noi italiani purtroppo sappiamo da che parte stiamo. Ma non ovunque è alla stessa maniera. Inutile aggiungere il modello che dovrebbe essere privilegiato in un paese libero, maturamente democratico e non liberticida. Che dà fiducia piuttosto che soltanto divieti ai propri cittadini.

 Dici ad uno scrittore e ad un attore che la sua arte non è più ciò che consiglierebbe il suo stato di salute; dì ad uno che ami scorrazzare e viaggiare per passione che non può più farlo; imponi ad uno che ama vivere di notte, e solo allora, che deve ritirarsi e dormire otto ore al dì, dalle 23 alle 7 del mattino; ed ecco che a quel tale come minimo verrebbe naturale chiedersi se è così che desidera continuare a vivere.

La vita – a differenza di quello che molti sostengono – non è “valore assoluto”, qualunque essa sia.

Essa ci richiama di continuo a delle riflessioni sullo stato delle cose, le nostre; e sulla filosofia relativa. A compiere scelte conseguenti. Ci interroga su ciò che intendiamo che essa sia pienamente per noi. La si chiami qualità della vita o quel che aggrada, per alcuni o forse per tutti, essa lo è nella misura in cui riesce a renderci più o meno contenti di noi stessi e di vivere, giorno dopo giorno.

Immagino le obiezioni dei moralisti e di coloro che sono mossi da una ideologia “pro vita”. E mi figuro le loro facce di fronte a cosiffatta bestemmia: la mia.

In nome di questo purtroppo si stigmatizza e si inibisce qualsiasi discussione sul tema “fine vita”. Per costoro non esisterebbe alcun diritto di scelta sul tema: né sul vivere né sul morire. Questo paese da anni sta facendo i conti con questo indirizzo culturale e l’attuale esecutivo è più che mai fermo, per ragioni propagandistiche più che di coerenza, su di un blocco omissivo a qualsiasi presa in esame della questione.

Più facile condannare. Più facile giudicare.

Non diversa la mentalità dunque di fronte a morti come quella del calciatore da cui siamo partiti. Premesso che Nwamena fosse a conoscenza del rischio (e risulta che lo fosse), perché impedire ad un uomo di non rinunciare a fare fino in fondo quel che lo rende felice?

Avesse smesso, nessuno potrebbe dirci come avrebbe vissuto.

Io so per certo ora che se mi dicessero di smettere adesso, sarei in breve l’uomo più triste del mondo. Che esistono mille altre cose al mondo ma che nessuna mi rende leggero come continuare a fare ciò che più si avvicina a sentirmi felicemente e in vita.     

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