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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Il calcio di Camus

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 20 Aprile 2024, 10:37am

Tags: #la lettura del giorno

Il calcio di Camus

Il cavallo (si tratta di uno dei personaggi equivoci dei quartieri popolari di Orano, ne La peste di Albert Camus) scrollò di nuovo la testa e Rambert annuì senza troppo entusiasmo. Il resto del pranzo trascorse alla ricerca di un argomento di conversazione. Ma tutto divenne facile quando Rambert scoprì che il cavallo era un calciatore. Anche lui aveva praticato a lungo quello sport. Così parlarono del campionato francese, del valore delle squadre professionistiche inglesi e del modulo a W. Alla fine del pranzo, il cavallo si era ormai animato e dava del tu a Rambert per convincerlo che il ruolo più bello in una squadra è quello di centromediano. “Capisci,” diceva, “il centromediano è quello che distribuisce il gioco. Ed è questo il calcio, proprio distribuire il gioco.” Anche Rambert la pensava così, benché avesse sempre giocato da centravanti. (La Peste, Albert Camus)

Della passione per il calcio del grande scrittore francese non sapevo nulla fino all’altro ieri. Della passione calcistica degli scrittori si parla raramente, del resto. A meno che non dedichino testi e versi espliciti all’argomento. E, non saprei dire bene per quale ragione, quando questo accade, c’è sempre chi storce il naso e bolla come espressioni minori le opere in questione. Per non dire di quegli scrittori e di quei giornalisti che scrivono di sport (e di calcio) che restano sempre nel limbo di una letteratura considerata inferiore. Il che non è sempre vero. Ho letto libri dedicati a storie del genere che mi sono sembrati dei capolavori. Ed altri che erano infimi e minimi pur trattando di altre cose.

Nel passo di Camus però c’è una cosa che mi è parsa esemplare. Si tratta del potere che ha l’argomento di rompere il ghiaccio ed il gelo. Che rende possibile trovare l’argomento comune. E spesso di familiarizzare. Di passare dal lei e dal voi, al tu. Che è quello che viene descritto in queste righe.

E’ quello che mi accade in taxi in qualsiasi paese straniero dove basta aprire sulla League piuttosto che sul Mondiale, citare un nome, per creare in auto quella sorta di impagabile complicità che fa sembrare più breve il cammino e persino meno salato il conto finale.

C’è stato, il Natale scorso, un video molto bello prodotto in casa Atletico Madrid che descriveva un viaggio in taxi di un anziano in difficoltà, smemorato, riportato a casa da un volontario taxista “samaritano”. Il vecchio in macchina, si rianima parlando del suo Real. Il tassista lo asseconda ed è così che lo mette a proprio agio, lo rincuora. Lo conduce a casa dove la figlia, nel frattempo contattata ed allertata, lo aspetta con ansia, conoscendo la patologia senile del vecchio che si era smarrito.

Il ricordo del grande Real di Gento Puskas e Di Stefano lo restituisce alla comunicazione e lo riporta in vita. Soprattutto lo riporta a casa sua. Per quanto il suo tassista taccia di tenere per gli acerrimi rivali concittadini dell’Atletico Madrid.

Quello che spesso fatico a far capire a chi mi legge e mi ascolta, è come il mio immenso amore per la pratica sportiva nasca anche da questo stato privilegiato che riesce a creare tra le persone. In palestra e egli spogliatoi gli sportivi si danno del tu. E spesso parlano di cose più grandi di un esercizio su panca o di uno schema sul campo. Tra queste cose ed altro tornano ad essere quello che si è da ragazzi e che si dovrebbe essere per tutta la vita. Aperti e senza barriere o sovrastrutture eccessive. Nemmeno di età, di censo e di professione.

Quando lo sport riesce a fare questo, senza retorica – e spesso gli riesce – è tempo guadagnato ed è cultura nel senso pieno della parola. E’ cultura dell’umano. E’ uno squarcio aperto sull’eguaglianza e sulla solidarietà.   

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