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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


a proposito di Memoria condivisa

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 27 Gennaio 2024, 11:27am

Tags: #la storia

a proposito di Memoria condivisa

Nella Giornata della Memoria e della Memoria – si spera – condivisa (ma della condivisione intendo dire dopo), sento di poter sottoscrivere quello che qualche giorno fa scriveva l’ottuagenario Enzo Bianchi, fondatore di Bose. Che al di là del Male assoluto e delle responsabilità enormi dei regimi tutti da demonizzare piuttosto che da esorcizzare, c’è l’enigma neppure troppo sorprendente della diffusa indifferenza in cui quel male si consumò. Nel quale anzi si consuma.

La gente, la pubblica opinione, come amiamo adesso dire, non diede, salvo eccezioni, segni di vita: di ribellione, di opposizione. Lasciò fare. Molti ne godettero le conseguenze.

Docenti universitari (non solo loro) che beneficiarono delle cattedre da cui furono destituiti ebrei ed oppositori del regime. Beni mobili ed immobili di cui si impossessarono. Privilegi d’ogni genere, scalate sociali e promozioni di cui si avvantaggiarono quelli che intanto vedevano assottigliarsi il numero dei concorrenti nel frattempo messi fuori gioco, poi segregati, poi internati, poi eliminati.

Tutto l’armamentario della propaganda antisemita ebbe gioco facile su chi non sembrava aver voglia e strumenti per una lettura alternativa e difforme degli avvenimenti. Bianchi, sottoscrivendo un intervento del centenario Edgar Morin, bolla tutto ciò come indifferenza, il primo dei mali. L’indifferenza è infatti il primo dei gradini che conduce alla connivenza: con la collaborazione, con l’abdicazione di ogni solidarietà umana.

Della memoria condivisa – si diceva – ci si bea da qualche anno, una ventina, lungo tutto l’arco istituzionale, senza eccezioni manifeste ed esplicite, ad eccezione certo degli estremisti e di quelli che fanno capo a movimenti ai limiti dell’illegalità. Quegli stessi che però, in più di qualche consultazione legislativa, non hanno mancato di fare da alleati - per quanto residuali e nostalgici - a partiti di governo, dunque sdoganati e persino atlantisti negli ultimi quattordici mesi.

Ma la condivisione  - quella reale – non può essere distinta dal riconoscimento previo di colpe storiche e di responsabilità. E’ come accade quando si intende riprendere una relazione affettiva e si rivendica il diritto che ciò avvenga senza riconoscere di avere in qualche modo fallato. Di aver tradito. Di essersi sbagliato. Di avere nascosto i numeri del terzo incomodo sul cellulare. E di essersi distratto, quanto meno, con qualche altra relazione di contorno.

Come si fa – mi chiedo – a rimettere in piedi una relazione fondata sulla fiducia, quando manca il riconoscimento dei propri errori, della propria storia? Di avere svenduto per poco, per niente ciò che valeva; di averlo profanato?

Le relazioni non è così che si rimettono in vita. E non è in questo modo che si può pretendere l’oblio ed il perdono. Non conosco casi in cui si possa ripartire da presupposti siffatti.

Per questo è sospetta quella condivisione celebrata da chi non riesce a dirsi antifascista. Da chi quell’aggettivo sostantivato neppure riesce a pronunciarlo. Da chi non sa riconoscere che ci si era sbagliati. Da chi non sa chiedere scusa.

A meno che non si intenda proseguire sulla stessa litania a cui ci hanno abituati per cui la colpa e le responsabilità sono sempre di altri. Noi non c’entriamo. Noi non c’eravamo.

Ci siamo invece – ci sono – quando non si ha il coraggio di pronunciarsi e quando si minimizza ogni manifestazione in cui (anche) a quei regimi, a quelle ideologie si fa esplicito riferimento anche solo levando braccia tese a mo’ di saluto romano.

Quel doppio registro non è rassicurante in vista di una memoria dolente realmente condivisa e sa invece di opportunismo e di italico doppiogiochismo. A cui per fortuna non saremo mai rassegnati.

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