Quella che si apre oggi è la Settimana della libertà religiosa in Italia. A proclamarla, le chiese evangeliche italiane, celebrando la memoria di questo diritto essenziale riconosciuto finalmente alla chiesa valdese, dopo secoli di emarginazione e di persecuzione, solo il 17 febbraio del 1948.
A seguire, sarebbe avvenuto il riconoscimento del medesimo diritto di professare la propria fede religiosa per i cittadini italiani di religione ebraica.
Il tema prescelto dalla chiese evangeliche quest’anno riguarda l’antisemitismo e il suo radicamento “storico e culturale”, per così dire, nel nostro Paese, il che spiega peraltro solo in parte il suo ciclico e pericoloso ritorno. Numerose le iniziative previste durante i prossimi sette giorni in tutto il Paese.
Alla libertà religiosa noi spesso opponiamo, anche a sproposito, l’argomento della reciprocità. Nei casi in questione il problema non si pone.
Nei paesi a maggioranza protestante e anche nello Stato d’Israele, il riconoscimento della libertà della religiosa non è mai stato messo in discussione. Non è sempre stato così, invece, da noi.
E nei fatti, ancora di più in un Paese in cui per decenni si è voluto procedere purtroppo sulla linea dell’affermazione esplicita dell’esistenza di una religione di Stato. Che poneva le altre fedi inevitabilmente su di un piano di inferiorità, al più a malapena tollerate.
Oggi l’intolleranza si chiama Shoah party o in qualche altro modo irriferibile, quelli con cui Gad Lerner qualche giorno fa ricordava il contagio dal Morbo di K, vicenda eroica e drammatica ad un tempo su cui mi riprometto di tornare.