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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


L'oscenità di un martirio

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 17 Ottobre 2023, 11:32am

Tags: #unica, #I PADRI

L'oscenità di un martirio

Ogniqualvolta mi capita, come oggi, di leggere le famose lettere di Ignazio di Antiochia, martire del II secolo dell’era cristiana, non riesco a fare a meno di riflettere su un paio di questioni che si sollevano automaticamente senza evidentemente trovare una risposta che appaia definitiva ed esaustiva. Ignazio fu il diretto successore di Pietro, secondo tradizione, e a causa della sua fede religiosa e della sua predicazione fu condotto a Roma per il suo “glorioso” martirio, per essere sbranato dalle belve, come si premura egli stesso di annunciare, di scrivere e di augurarsi addirittura.

A leggerlo anzi si direbbe che sia questa la massima delle sue ambizione. Morire da martire cioè, per unirsi ed uniformarsi alla sorte del Cristo in cui crede. Quell’anelito alla morte cruenta, il suo sangue come quello sparso dal suo maestro – come egli precisa – agli occhi di chiunque deve apparire invece scandaloso.

Lo è ai miei. In quanto incomprensibile. E credo del resto che sia così poco moderno, così poco esportabile ad altri tempi che non siano i suoi, così poco sottoscrivibile pure sul piano dell’ortodossia, da lasciare interdetti e sorpresi. Anzi, come dicevo prima, scandalizzati.

La sete del martirio quasi suona come la prova medievale e barbarica dell’ordalia.

In verità quest’ansia di farsi fare a pezzi e maciullare sotto i denti delle belve – è sempre Ignazio a raccontare – deve sembrare, a me così come ad altri, ai romani e ai contemporanei tutti, senz’altro – contro natura. Perché quest’ultima porta in sé invece il gusto della vita e l’istinto naturale della sopravvivenza. L’apologia del martirio, pur se trasposta su di un altro piano, è comunque parte di certa spiritualità cristiana. Si potrebbe dire, senza tradire i testi paolini (mi viene in mente un passo della seconda lettera ai Corinzi, per esempio) che la scelta stessa della sequela cristiana sia in qualche misura dichiaratamente assimilata al martirio: nella resistenza e nella opposizione a ciò che ci tenta, al successo e al denaro;  all’assecondare simpatie ed affinità umane (meglio scegliersi come oggetto d’amore chi non ci piaccia); alle inclinazioni personali, all’individualismo e in breve a tutto ci che viene liquidato come mondanità – come vien espressamente detto, specie nella tradizione monastica – certo  ma non solo.

Nel piano di conversione e di metanoia/trasformazione del credente è sempre un passaggio doloroso, come le doglie del parto, dalla naturalità a ciò che la supera. Così l’amore per il prossimo, chiunque esso sia; lo scegliere l’ultimo posto; la povertà e poi la castità.

Il rovesciamento doloroso della logica umana, di ciò che solitamente arreca piacere e gioia è di per sé testimonianza e quindi martirio. Tutto ciò viene assimilato all’idea. E’ così letteralmente scritto e spiegato. Non si tratta insomma di una mia riflessione.

Vero è che (e questo è l’altro motivo su cui mi capita di soffermarmi, in questi casi) del titolo di martire si fregiano nondimeno (o da altri ne sono coronati) anche altre tipologie di uomini e di ideologie. Il terrorismo islamico non esita di richiamarsi al martirio ed al suo premio. Martiri della Jihad sono quelli che si lasciano esplodere tra la gente o dove sembra che sia necessario per testimoniare e per confondere ed intimidire nemico ed infedeli.

Si tratta di un martirio diverso ed esecrabile, senza dubbio, dal momento che Ignazio ed i martiri del cristianesimo “si limitano” a spargere il proprio sangue ed a fare sacrificio della propria vita, mentre ben altro è il modus adottato dal martire terrorista, come è facile dedurre.

Di questi tempi, la puntualizzazione non mi sembra superflua se ad Hamas e ad altri, qualcuno dovesse ritenere di potere attribuire il titolo di cui parliamo. Se “il sacrificio” di costoro a qualcuno dovesse sembrare assimilabile al sacrificio che si compie per la propria patria e per il bene comune. Nessun martire degno di tanto nome può restare tale infliggendo morte e disperazione. E pur non provando particolare simpatia in ogni caso per questo genere di apologia, anche in tema di adesione alla fede cristiana, è ovvio che martire a pieno titolo potrà dirsi Ignazio o chi per lui; ma non di certo chi alla morte condannando sé stesso, ritiene di poterlo fare con chiunque sia oggetto del proprio odio e strumento quindi per la sua propria oscena pubblica testimonianza.

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