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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Tra Francesco e la sua Maniera

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 3 Ottobre 2023, 11:31am

Tags: #unica, #I PADRI

Tra Francesco e la sua Maniera

Non è casuale che si scriva di queste cose, oggi. Domani, questa porzione “romana cattolica ed apostolica” di cristianità celebra il ricordo di Francesco infatti; ed io domani potrei essere in viaggio, come credo. O non poterne già più del profluvio di cose che verranno scritte e dette (molte più dotte e sapienti delle mie) sull’argomento. E’ ben vecchia la mia passione per la figura del santo. La storia di lui, al netto o quasi dalla oleografia e dall’edulcorazione edificante e devota, mi dovette colpire senza meno già in età assai giovanile. Colpa di qualche vuoto esistenziale mio, senz’altro. E colpa poi degli studi universitari.

Bisognava convogliare questo mio spirito ribelle in qualche direzione e così le medesime istanze di giustizia e di pietà, di delicatezza e insieme di rigore, il nostro radicalismo ed insieme il bisogno di una esistenza e di un modello esistenziale alternativi. Insomma, a quel fascino che nasceva da non so come e non so neppure se da qualche equivoco e da qualche lettura maldigerita e fraintesa, trovava un buon terreno in quello che sono sempre stato. Per me, per noi, per molti tra noi, lui era un’eccezione (e lo era) ed era un ideale alternativo. Credo che questo dica tutto.

Il fatto che solo a fatica lo abbiano costretto ad accettare che francescani (e minori) si facessero un Regola, dimostra quel che sospetto: resta – finché resta da solo a rappresentare sé stesso, senza mediazioni – uno spirito libero ed un non etichettabile. Solo Dio sa come fu che si riuscì ad evitargli di essere messo all’indice tra gli eretici ed i pauperisti che con lui ebbero molte cose in comune. Tranne l’obbedienza (sì, ma quale però?) alla Chiesa.

Uno che sostiene di aver sentito “va’ e ripara la mia Chiesa” intanto si sente investito di un mandato. In secondo luogo, non è detto che questo non diventi motivo di guerra e di ostilità nei propri confronti. Vogliamo dirla tutta?

Solo il costituirsi ed il normalizzarsi in Ordine ha reso possibile l’assimilazione e lo sdoganamento di quella che è un’eredità non sempre fedelissima al suo magistero. Tutto ciò che è stato poi, anche certi atteggiamenti, anche certe manie che diventano formali, identitarie e riconoscibili, per così dire ideologiche, è altro ed è in buona misura maniera, cioè è quanto che separa, sempre e comunque, il maestro dalla sua scuola. Come accadrebbe tra Caravaggio e i caravaggieschi, tra Marino e marinismo, tra capostipite e seguaci, emuli, imitatori.

Della cosa ho finito col convincermi non solo per i tanti anni di frequentazione anche piacevole della “casa”, ma ancor di più per il prezzo che si è personalmente pagato, in definitiva, per avere idealizzato quella lezione primigenia ed aver preteso di ritrovarla appieno e vivente in quelli che ne portavano il nome.

Molti di loro, perbene e degnissimi, ma pure totalmente “altro” – ed è inevitabile – da ciò di cui si era ingenuamente invaghito il mio cuore.

Sarebbe semplice contrapporre quella povertà del padre con lo stato attuale dei suoi eredi; il valore economico differente delle cappe dei sai, delle vesti, dei sandali, degli addobbi, con tutto il tenore di vita, delle abitazioni di quello che resta il più ricco tra gli Ordini religiosi. E del resto pretenderne una povertà estrema, a tutti i costi, anche questo può risultare ideologico e farsesco. E in fin dei conti, neppure decisivo. Così come ancora semplicistico sarebbe dire che tutto ciò che oggi diciamo “francescano” ha spesso solo il suono della forma e dell’esteriore, come a dire “secondo lo stile francescano”, cioè rifacendogli il verso. Sono certo che Francesco mai ci avrebbe pensato. E mai condiviso.

Qualcuna di queste manie, anche un troppo sdolcinato “vogliamoci bene”, un buonismo per così dire premeditato, pax et bonum fino all’inflazione ed alla perdita di significato della originale forma di saluto, si è  toccata con mano; e non nego di aver iniziato a diffidarne ed a provarne in qualche modo fastidio.

Tanti dei nostri ragazzi, di quelli di oggi e di quelli di quando anche io lo ero, a questo atteggiarsi si sono adattati, riconoscendosi totalmente e solo in esso. Ne ho veduto simboli, merchandising, gadget, persino vestiario come i sandali soprattutto, adottati in parrocchie, in raduni, in situazioni di condivisione.

Ne ho visto affermarne il valore come segno di identità. Al punto da considerare spregevole chi si presentasse in altro modo (gli altri, vittime della moda, della società dei consumi e così via). Questa cosa si configura anche nelle forme evidenti di chiusura e settarismo. E si chiama conformismo. Che Francesco non era. E così anche troppa pubblicistica, devozionale o vocazionale che presenta – ne ho contezza - questi limiti fino all’estenuazione. Quel che con gli anni ho imparato è, oltre al superamento di qualsiasi idealizzazione, la più semplice delle regole: che i modelli servono per essere rielaborati e superati. Non per ripetersi “al modo di”, ma essere sempre l’espressione autentica di sé stessi. Cosa di cui Francesco probabilmente ai suoi tempi non poteva essere consapevole, ma che fu nei fatti: un extraterrestre a cui mai sarebbe venuto in mente di inventarsi uno schema unico ed impersonale per essere felici e motivo di speranza per altri, di felicità.

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