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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Né orecchio udì

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 19 Dicembre 2021, 17:04pm

Tags: #preghiere

Né orecchio udì

Rifletto su di un paio di questioni, stamattina. La prima è l’uso corrente del termine, e della pratica, detta “di adorazione” (parlo di quella religiosa ovviamente. Adoriamo molte altre cose nella vita e di frequente usiamo il vocabolo in modo iperbolico ed inappropriato).

Si adora almeno parzialmente in silenzio, nelle chiese, nelle azioni liturgiche così indicate; perché adorare è etimologicamente avvicinarsi alla bocca di chi sta parlando: quindi al fine di ascoltare. Si pende cioè dalle sue labbra - si potrebbe dire con un po’ di libertà maggiore (ma rende l’idea) - e quel che dice ha un valore particolare.

Nell’esperienza quotidiana diamo ascolto a molti e molte cose. Ad alcuni con un rispetto quasi sacro, come se rivelassero il vero. Si chiama divismo – semplificando – o si chiamano idoli. Oggi si dicono anche influencer. Stiamo schematizzando.

Nella pratica liturgica di cui dicevo, ad ogni modo, non si adora quindi né oggetto né immagine in sé, ma deduco, quel che da questo, per simbolo che sia, vien detto suggerito, e a cui induce. Direi quindi innanzitutto la parola, il discorso, logos o verbum.

Perché ciò avvenga, occorre porsi silenziosamente e discretamente in posizione di ascolto dunque; e nella condizione del silenzio, anche interiore, che è sempre una conquista.

Il silenzio diventa tale solo dopo una fase di adattamento, potremmo dire. Un po’ come quando si ascoltano discorsi pronunciati in un’altra lingua. Prima che l’orecchio si abitui, occorre una fase preliminare, in cui si acquista familiarità con quella sonorità.

Da qui, non può esservi adorazione senza silenzio (ed invece vedo e sento che è sempre il contrario); ed ogni silenzio – un po’ meno quelli angosciati - in qualche modo è adorante; talvolta obbediente, giacché la condizione dell’obbediente (e anche qui ci viene in soccorso l’etimo) è quella di chi porge l’orecchio all’ascolto e quindi da ciò che ode, affinando i sensi, determina il modo in cui agisce.

I Magi e gli altri adoranti del presepio, allora, non adorano in altro modo che prestando ascolto, e avendolo anzi già prestato, fino ad essersi recati in quel luogo.

Gli atti conseguenti, dal recar doni e inginocchiarsi, allo starsene lì avvinti e stupiti, sono l’omaggio reso a ciò che mai orecchio udì prima, né occhio vide. Se non si fossero fermati per mettere a fuoco, non avrebbero avuto niente da adorare, a cui avvicinarsi e da cui poter udire una parola significativa e stupefacente.    

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