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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Romeo e la Principessa

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 18 Dicembre 2021, 16:43pm

Tags: #Lo spirito del viaggio

Romeo e la Principessa

Al termine di certi viaggi che sembrano essere stati una sciagura (e non è detto che lo siano stati per davvero: lo si scopre solo dopo, molto dopo), sarebbe bello mantenere la lucidità per riconoscere la giusta gratitudine a coloro che in mezzo ai marosi ti sono stati di conforto.

Non mancano anche nei Vangeli ovviamente le tirate contro gli ingrati. Erano una trentina quelli che erano stati beneficati e di questi solo uno si presentò per ringraziare. E gli altri? Il giorno dopo lo avevano dimenticato.

Non serve a niente fare la lezione amareggiata di chi saprebbe esser grato quando è giusto. Ricordo il Dante di Raimondo Beringhiere signore di Provenza, che di Romeo di Villanova menziona i grandi meriti. Curò con onestà gli affari del suo signore (sembra quasi l’astuto amministratore del Vangelo e non escludo che il calco esemplare adoperato sia quello); sistemò per bene il di lui patrimonio; sposò in modo vantaggioso le figlie del duca, imparentandolo con la casata d’Angiò, con le corone di Francia Inghilterra e Germania. Poi le invidie e le false accuse, lo costrinsero a lasciare incarico e terra e a conquistarsi a tozzo a tozzo, a frusto a frusto, il suo pane quotidiano. Che è sempre una gran fatica, a parte che per pochissimi privilegiati.

In questo sforzo che tutti viviamo, la gratitudine deve conservare un suo posto, perché pur nello scendere e il salir per l’altrui scale è già un gran bene che ciò ci sia consentito. Che qualcuno tenda un orecchio, una mano.

Fuor di metafora, la nostra disperazione e l’insoddisfazione, il dolore e la frustrazione ci fanno dimenticare coloro che ci hanno anche accolto ed ascoltati, che ci hanno guardato con affetto, solidarizzando.

C’era una volta una principessa longobarda, sposa di Re Carlo, figlia di Desiderio, poi ripudiata. Chiusa nel suo chiostro, bisogna credere che qualcuno l’abbia ascoltata. Lo crede il poeta. Che lei abbia narrato; o solo che, non volendolo, sia stata rispettata, e delicatamente custodita.

Non è un caso che venga in mente questa collezione di figure cristiane, perché il Dio (nostro?) è sempre quello della consolazione; e gli uomini e le donne è a questo che sono chiamati, non ad altro.

Mi piace pensare che, oltre ad essere fatti oggetto di quello stesso conforto, a volte ne siamo i latori, quelli che ad altri ne portano. Che nelle bufere altrui, ci siamo stati, per qualcuno.

Che siamo un porto sicuro, non una costa senza approdo, che si ritira ogni volta che ti sembra che tu stia sul punto di afferrarla.

Essere grati è riconoscere che siamo debitori. Che gli altri ce lo riconoscano è meno importante in fin dei conti. Anche meno costruttivo. E infine non dimenticare di essere grati a se stessi di essere quel che siamo e siamo stati.

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