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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Il tema e il De quo

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 20 Dicembre 2021, 16:41pm

Tags: #unica

Il tema e il De quo

Da ragazzo amavo scrivere perché – ma questo l’ho capito poi – si trattava dell’unico strumento attraverso il quale riuscissi a mettere in comunicazione il mio mondo con quello degli adulti. La mia insegnante di lettere questa cosa l’aveva capita e si sorbiva, più o meno convinta, tutte le mie proteste adolescenziali e le mie massime verità che col tempo si sarebbero dimostrate inevitabilmente fallaci e infantili. Ma mi assecondava e mi guardava, mentre mi faceva spiegare in classe un testo di critica o un passo di letteratura italiana. Bontà sua! Credo che ne avesse colto l’aspetto terapeutico.

Non so se si potesse parlare già di vocazione alla scrittura.  

Non ho più scritto per anni in verità, se non delle lettere (allora si faceva). Ne ho scritte ad un vecchio amico vescovo coetaneo di mio padre, il quale mostrava bonariamente di ascoltarmi, senza scandalizzarsi. L’ho fatto con amici e amiche lontani, cercando comprensione – immagino - e ostentando sicurezza o disperazione, l’una e l’altra alternatamente.

Avevo scritto al liceo da prestatore d’opera i miei bei temi e non di rado quelli dei miei compagni (prima manifestazione del mestiere di scrivano, dunque), di un paio di sicuro, i quali non mancavano di mostrarmi la loro devozione, almeno privatamente.

Se non si scriveranno più quei temi, i compiti in classe, le prove scritte di italiano – mi dicevo nei giorni scorsi nell’infuriare della polemica sulla questione – prove che nel frattempo sono diventate pure articoli di giornale nella scuola degli ultimi dieci anni almeno, in quanto pure l’articolo è un genere, non so bene se d’incanto accadrà che tutti disimpareranno a sintetizzare, a raccontare, ad esprimersi compiutamente su di un argomento.

Per molti, la cosa ha continuato ad essere il medesimo supplizio, fino ad ora.

Eppure il nocciolo delle cose in qualche modo va colto, cioè l’essenza, ovunque. E se possibile, con qualche strumento andrebbe condivisa: bisognerebbe essere capaci di farlo pur senza diventar maestri di retorica.

E’ possibile che alla base ci sia – ormai diffusa - una incapacità di cogliere il punto nodale di un argomento (ne ho esperienza anche per quel che vedo tra qualche mio allievo, universitario); o ancor di più per la completa disabitudine a condividere un discorso – con chiunque - che abbia un senso, non dico neppure “compiuto”, al più ipotetico. I discorsi compiuti non sono mai, devono sempre presentare delle aperture allo sviluppo.

A me la cosa appare talmente chiara che non sento nessun bisogno di conforto, sull’argomento.

Lo colgo – per dire - persino in certe omelie pronunciate in chiesa (i più giovani sembrano perlopiù incapaci di una logica organica che non sia pedissequa e monotona, cioè inesistente); così come nei discorsi raccolti tra i ragazzi (non solo loro); e persino tra non pochi miei colleghi giornalisti, per non dire poi dei politici in video che ripetono spudoratamente il riassunto dettato loro e mandato giù a memoria.

Non vedo una soluzione alternativa al tema, che è sempre un “de quo”, cioè non solo un complemento di argomento. Le abbiamo provate tutte.

Un discorso però; essere in grado di svilupparne uno e di metterlo in buona prosa occorre che si sia in grado di farlo: anche se domani si dovessero vendere polizze piuttosto che rubinetti; se solo si dovesse spiegare il guasto occorso all’impianto idraulico. Per non dire di quelli che stilano un verbale. Non si tratta di poesia, ma di mettere insieme un percorso logico, di portarlo da un punto a ad un punto b.

La scuola non è abilitata né finalizzata a formare dei poeti e neppure dei predicatori, ma gente competente e in grado di spiegarsi, sì. Questo, senza meno.

 

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