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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Imparare che le cose non ci appartengono (anche a proposito del caso Bose)

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 31 Maggio 2020, 09:44am

Tags: #la storia

Imparare che le cose non ci appartengono (anche a proposito del caso Bose)

Le cose non ci appartengono. E’ così nella maggior parte dei casi. A maggior ragione se si tratta di persone. I figli per esempio, i mariti le mogli, compagni e compagne, non ci appartengono. E neppure le cose che creiamo: che si tratti di opere d’arte e persino di istituzioni. In fin dei conti non se ne deve provare rammarico.

Le cose e le persone devono saper camminare sulle proprie gambe. Alla fine non si tratta d’altro di quanto andiamo affermando: che dalle cose non vogliamo essere posseduti, non esserne schiavi.

Facevo questa considerazione anche sulla scorta di più di una sollecitazione ad esprimermi in merito alla vicenda di Enzo Bianchi e del suo più che probabile allontanamento dalla Comunità che egli stesso ha fondato.

Dalle sue dimissioni di priore – leggo - il successore ha sperimentato quanto fosse difficile fargli da successore. Soprattutto in sua presenza. Non è un caso che i vescovi emeriti in genere si allontanino dalla loro ultima sede. La compresenza rischia di diventare un peso, un continuo confronto, una sorta di bicefalia che non funziona (lo stesso avrebbe dovuto consigliare Benedetto XVI a suo tempo ad allontanarsi da Roma e dal clamore).

Bianchi è un monaco ed un culture dei suoi grandi predecessori. Molti tra loro, proprio al fine di favorire questo passaggio e qualsiasi pretesto usato ad arte per creare ingovernabilità all’interno e confusione, scelsero già in passato di separarsi dalla loro creatura (Teodoro, Orsiesi, tra i primi etc.). Persino nel privato – aggiungerei – basti guardare il modo in cui non poche donne (e madri) preferiscono star lontane da figli e nuore pur di non alimentare dualismi alibi e competizioni. E funziona …

Le cose semplici e quotidiane ci insegnano molte cose.

Allontanarsi è doloroso e si capisce ma, come dicevamo, nulla ci appartiene: né figli, né opere, né istituzioni, né libri, né canzoni. Ad un certo punto vivono di vita propria, separandosi in qualche maniera dal loro autore. E noi, soprattutto, impariamo a non dipendere dal possesso e dal controllo che esercitiamo su queste.

La nostra felicità non passa dal possedere ma dal veder vivere chi al mondo prende autonomamente il largo, com’è giusto che sia.       

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