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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Camion di notte e treni della sera

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 30 Maggio 2020, 08:14am

Tags: #salmi

Camion di notte e treni della sera

Qualsiasi genere di vita si conduca, non c’è dubbio che al fondo è come se chiunque chiedesse innanzitutto “la sapienza del cuore”. Con cui sapere, anche solo a naso, per cosa valga la pena continuare ad esserci e a vivere le giornate. Mi sembra, ecco, che la cosa valga anche per chi in apparenza sostenesse di voler vivere un’esistenza senza una regola precisa, senza sapere altro, “non sapiente”. Laddove la regola è invece aver scoperto e concluso che nessuna regola ferrea esiste, se non vivere così.

Non mi sono mai sentito in dovere di far lezione a chi vivesse a questo modo. La mia condizione del resto non è molto diversa. E da questo punto di vista, ogni sapienza, ogni conclusione personale, agli occhi degli altri appare sempre una follia, priva di senso, cioè il proprio.

Ciò detto, “Fammi conoscere, Signore, la mia fine, quale sia la misura dei miei giorni, e saprò quanto fragile io sono”. (salmo 38).

Per la mia generazione, nessun momento come quello attuale sembra essere stato in grado di metterci di fronte alla fragilità. Che non risiede solo nella misurare l’esiguità dei nostri giorni, ma ancor di più nel prendere atto di tutte le debolezze che ci accompagnano, le paure e la negazione di queste. Come per quelli che sostengono e ci tengono a dimostrare di non averne alcuna …

O come l’atteggiamento di sfida e di rifiuto che in maniera un po’ adolescenziale abbiamo di fronte all’evidenza di queste.

Lo abbiamo fatto tutti. Sfidare il pericolo, dimostrarci più forti di questo, deriderlo, ignorarlo ostentatamente. Il che si traduce in mille pose, mille atteggiamenti, nell’infrangere ogni proibizione.

Rimangono di queste tracce infantili in ciascuno di noi, fino alla fine. E non è detto che si tratti di un male.

“E’ come un’ombra l’uomo che passa. Sì, come un soffio si affanna, accumula e non sa chi raccolga … tu corrodi come un tarlo i suoi tesori” (ibidem). Quest’ultima notazione, che ritrovi pari pari nei discorsi dei Vangeli, non costituisce che l’abbrivio ad una serie di conseguenze praticabili. Per la medesima ragione o ti godi quel che possiedi, lo rivaluti, ne ringrazi il cielo e lo condividi con chi ti è caro (una tavola imbandita, gli amici, le loro confidenze). Oppure butti via anche il piacere di possedere quel che hai, ora. Mentre cerchi come un Mazzarò di trattenere il respiro, di non vivere, di tesaurizzare, di conservare, per paura che tutto svanisca. E i tarli intanto già son pronti a mangiarsi soldi e giorni che passano nell’attesa di vivere, poi ... Tu che intanto non conosci i tuoi giorni, la loro misura, quanto fragile e prezioso sia tutto ciò, quanto “ogni uomo è come un soffio” (ibidem), un soffio vitale, beninteso, un respiro profondo, se può e vuole.

Ci si può rattristare per questo. Chiedere “distogli da me il tuo sguardo (di accusa ndr.); che io possa respirare, prima che me ne vada e di me non resti più nulla” (ibidem). O invece si può cominciare in questo tempo a guardare la fragilità della bellezza, della sapienza del cuore che, liberato da certi veleni che gli impediscono di respirare, riprende a pulsare delle cose di cui è fatta ogni esistenza.

La sapienza è quella di coloro che volano il proprio giorno, il proprio spazio, il proprio tempo, in qualche modo consapevoli che vivere è un’occasione. Che non c’è nessuna ragione per aspettare. In qualsiasi modo tu intenda farlo.

In questo senso non c’è nessun altro messia da aspettare. Bisogna mettersi in testa che, se non è venuto, è perché eri distratto, preso dal controllare il binario e l’orario di arrivo e di partenza sui tabelloni.

E i treni della sera sono già tutti passati. Quasi tutti, ecco …  

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