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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


QUEL FIGLIO PRODIGO E' UN GRAN PEZZO DI TEATRO

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 3 Marzo 2018, 18:40pm

Tags: #la storia

QUEL FIGLIO PRODIGO E' UN GRAN PEZZO DI TEATRO

Quello del figliol prodigo mi sembra un ottimo spunto (altri direbbero “metafora” e altri ancora più propriamente “parabola”) per costruirci su un pezzo di teatro. Mi si avverte nel frattempo che parlare di parabola di figliol prodigo oggi è un po’ passato di moda e che lo sguardo si sposta adesso preferibilmente sull’atteggiamento del padre, la centralità della figura; o sull’atteggiamento dell’altro dei fratelli, quello “nei secoli fedele” come l’Arma dei Carabinieri, sebbene – senza ironia – l’Arma oggi appaia un po’ appannata anche in questo, ma trattasi solo del segno dei tempi che cambiano, senza per questo sottoscrivere le invettive alterate dell’insegnante piemontese che le forze dell’ordine, per questo motivo (?) le avrebbe volute vedere tutte morte.

Torno al punto.

Il punto è che il fratello nei secoli fedele (che non faceva dunque il carabiniere, ma – mi sembra di capire – l’allevatore) viene additato alla pubblica riprovazione come simbolo di invidia e di risentimento, quello “perché a lui sì e a me no, dal momento che io ti sono stato fedele?”. E’ l’atteggiamento comune a molti tra noi: mi son dato da fare una vita intera ed arriva quello lì e si prende gli onori e i titoli dei giornali, diventando un po’ tutte come quelle del paese raccontato da De Andrè all’arrivo della ben nota Bocca di Rosa.

Ora, è chiaro che Bocca di Rosa le cose le fa per passione, mentre loro un po’ per calcolo e per comodità: averci un marito per tutta la vita (come il padre del figliol prodigo) è un’assicurazione fino all’ultimo dei giorni. Quanto detto dunque, dovrebbe far ritenere che pertanto il ragazzo prodigo, che quindi di mestiere faceva “uno che mena la bella vita”, in questa seguiva la sua passione (ma si sa bene dove conduce la passione, a soddisfare le proprie voglie senza sapere se il concupito ha cuore libero oppure ha moglie …); mentre nel tornare a casa fece soltanto un calcolo: “torno a casa, visto che qui, finiti i soldi, neanche le ghiande dei porci …”.

E questo lo racconta il Vangelo, non io.

Il fatto è confermato del resto dalla lunga preparazione, dalla premeditazione del ritorno. Si chiede, si interroga, si dice etc … che sarebbe meglio tornare. E così fa.

Tutti i ritorni sono così? Spesso sono così: con le pive nel sacco. Ne conosco molte di storie simili. E non sono ritorni gloriosi. In genere questa gente qui muore di malinconia e di nostalgia: una volta a casa, gli manca la libertà che avevano fuori casa. Oppure si tratta di ritorni fastosi, da trionfatori: col tappeto rosso all’entrata del paese. Tocca a quelli che hanno fortuna. Spesso in America. Anche se si tratta di ritorni avvenuti due o tre generazioni dopo: son tutti “pronipoti di”, quelli che vengono accolti come re e regine; e mi vengono in mente attori etc. che mettono piede in Italia e annunciano: “il mio trisavolo era abruzzese”. Oppure: ”i miei vengono dalla provincia di Cosenza …”.  

Ci sono infine i ritorni di coloro che non ammettono di essere tornati senza una lira e che raccontano questo e quello; che in sostanza stanno con un piede di qua e uno di là. Il cuore sta di là!

Il prodigo, che chiameremo per comodità solo così, non sappiamo bene che tipo di reduce sia. Furbo e pentito (?). Risentito? No, risentito lo è quell’altro, il fedelissimo. “Non puoi tornare nel tuo vecchio partito ed essere indicato come premier!” – gli dice.

Insomma non sarà risentito Prodigo; ma sarà furbo, sarà intenerito, forse, da quel padre. E infine sarà fortemente infastidito dal fratello invidioso che ha ad ogni modo le sue ragioni. I due non si sopporteranno mai e, alla morte del padre, non osiamo pensare quel che possa accadere. Avrà riscritto nel frattempo il testamento? Questo non ce lo racconta nessuno. Del padre infine molto potremmo fantasticare.

Molti mi dicono: “ma sai, non l’ha mai cercato, lo ha fatto andare in nome della libertà. I figli devono autodeterminarsi”.

Di figli così, venduti dai fratelli e finiti pure in malo modo, se volete, sono pieni i racconti sacri. Mi viene sempre in mente Giuseppe, venduto come schiavo, dai fratelli. I padri non è che indaghino più di tanto. E anche il genitore del prodigo non è che abbia mai provato a chiamare, a mandare una mail, un messaggio: “ehi! Come stai?”.

Oh, certo noi non lo sappiamo. Magari lo avrà fatto e il prodigo non ha risposto. Avrà cambiato numero e pure l’account. Non aveva voglia di sentirlo, semplicemente. Anche se propendo per l’idea che al momento della partenza il padre avesse detto: “ecco quello che è tuo! Vedi di farne quel che vuoi e vedi di non farti vedere più! E dire che per te era già pronto il posto in azienda. Per colpa tua, dovremo affidare ad un estraneo la contabilità”.

Fatto sta che Prodigo la contabilità la odiava e voleva scrivere poesie ed imparare a suonare il piano. Nulla esclude – anzi tutto lo lascerebbe pensare visto l’esito finale del ritorno – che ad un tratto il vecchio si fosse pentito. Aveva capito che quel testone rimasto fedele era di una noia mortale e che l’azienda non sarebbe mai cresciuta nelle mani di quel grigio esecutore di ordini immutabilmente stabiliti nei secoli, solo a quelli fedele … Ma la vita scorre (o ristagna ad ogni modo) e insomma uno pian piano l’idea deve a accettarla, tocca farsene una ragione. E’ così che vedendolo riapparire (“da lontano” – dice il testo - perché qualche lettera dovrà avergliela mandata Prodigo, per tastare il terreno, e questo fece, valutando e ripensando come si diceva), gli si apre un po’ il cuore. Oltretutto questi, tornando, gli avrebbe raccontato di un mondo che non aveva più veduto fin da quando aveva smesso di essere giovane, anche lui, prima che nascesse Testone.

E così gli avrebbe detto del regno di Gog e Magog, di Babilonia, della terra dei grandi fiumi e infine delle terre più diverse, dal Catai al Canton Ticino. In realtà era convinto, Padre, che Prodigo così li avesse spesi i soldi, mentre in realtà molto di più aveva sperperato, a dirla tutta, solo “a grandi puttane”, per dire ancora con De Andrè. Scegliendole però di nazionalità così differenti, che ciascuna, di quel mondo gli aveva raccontato qualcosa. Al punto che quasi era come se vi fosse stato. Tornato ed abbracciato, come sappiamo, noi leggiamo l’happy end – fino ad un certo punto, perché Testone continuò ad essere incazzato. Si mangiò e tutto il resto, lo si vestì per benino e di tutto questo sarebbero stati testimoni i servi chiamati da Padre a vestire, a scannare il vitello, a cuocere, a preparare. I servi sono servi, si sa …

Del resto, era questo il prezzo da pagare all’onore di avere assistito alla saga di cui ho appena provato a raccontare. Come i servi furbi del teatro, avevano previsto, osservato e malignato abbondantemente. Si erano divertiti ed ancora non era neppure finita. “Mica penserai che Testone si sia messo l’animo in pace!”.

“Papà, guarda cosa ha trovato nel cassetto di tuo figlio” – gli avevano sentito dire, assicuravano – mentre gli mostrava un altro biglietto per l’indomani per un regno sconosciuto di cui non aveva mai sentito dire. “Se non la smetti finirai all’Inferno!” – gli diceva il padre, non sapendo che quello già cuoceva abbondantemente con le fiamme sotto il culo, come se fosse dentro Malebolge.

Si sentiva i glutei arrosto come la coscia del vitello che avevano mangiato qualche mese prima per la festa che avevano fatto a Prodigo.

Così va la vita e se a qualcuno questo ricorda qualcosa è normalissimo: le parabole son fatte perché la gente vi si riconosca. E i servi, i ruoli li hanno già individuati tutti!  

Ps. Inutile aggiungere che questa storia intendo portarla a teatro!

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