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cultura e spiritualità


I MILLE TITOLI DI MARIA E LE MILLE FESTE D'ESTATE - SIMBOLISMI E RETAGGI

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 18 Luglio 2017, 19:48pm

Tags: #la storia

I MILLE TITOLI DI MARIA E LE MILLE FESTE D'ESTATE - SIMBOLISMI E RETAGGI

In tempo d’estate, soprattutto il Meridione d’Italia (ma non solo esso, per quel che mi consta) è tutto un pullulare di feste patronali e di festività indicate coi vari titoli con cui Maria, Madre di Dio, viene venerata.

Ve ne sono di universalmente note (il 16, ad esempio la si festeggiava col titolo di Madonna del Monte Carmelo, antica terra di eremiti …); e di altre diversamente collocate nei calendari delle chiese locali.

Qui, dalla località da cui sto scrivendo, è molto viva almeno nelle forme esteriori la devozione popolare prestata ad una sacra immagine di una Madonna Bizantina, santa Maria di Costantinopoli, festa fissata al 24 di luglio con tanto di processione di barche per mare, vera e propria attrazione per i turisti della zona, assai suggestiva, e credo, alle sue radici, antico retaggio di quel cattolicesimo italo-greco e delle sue battaglie campali contro l’invasore saraceno.

E poi a seguire, una più “comune”santa Maria delle Grazie, titolo diffuso sotto ogni latitudine, e qui inserito all’11 di agosto, anche qui con un gran confluire di giochi, di curiosi, di turisti, di cantanti sul palco, di giochi d’artificio.

Ce n’è però di meno note in special modo e di più fortemente caratterizzate e venerate quasi esclusivamente in specifiche regioni d’Italia e del Mediterraneo meridionale.

L’8 settembre, ricordavamo ieri con persone del posto più anziane del sottoscritto e che di certe tradizioni evidentemente hanno una memoria più radicata, data in cui si celebra in Occidente la Natività di Maria; in alcune aree del Cilento si festeggia una “Madonna della Scala” di cui avevo avuto già qualche notizia in quel di Roma, dove in via della Scala, in pieno quartiere di Trastevere, sorge una chiesa che le assomiglia e che le è similmente dedicata.

Vedo poi, grazie ad una breve ricerca a cui mi sono velocemente dedicato, che al titolo di Madonna della Scala sono intitolate non rare chiese e templi, anche abbazie, prevalenti in territorio pugliese, ancora una volta affacciati verso Oriente, da cui – rifacendo il percorso della storia del cristianesimo in Italia Meridionale – deduco che anche questo dovrà essere un lascito devozionale della tradizione bizantina.

Di simili chiese e di feste relative ne recensisco pertanto a Massafra, nel Tarantino; a Noci e – punta forse più estrema a Nord, per quel che mi risulta – nel Lazio. Non direi oltre.

L’attualità, ma anche i ricordi relativi alle feste dedicate alla Madonna della Scala parlano di raduni ed eventi di paese e patronali, di processioni e fiere, di banchi e bancarelle (vedi sopra) che vendevano (e vendono) dolci al miele e caramellato colorato, frutta secca e zuccheri filati; leccornie dello stesso tipo; senza contare bande musicali e cortei un po’ vocianti compresi lungo antichi ed immutabili tragitti, secondo consolidata tradizione.

I ricordi personali mi restituiscono l’immagine del mio nonno paterno, dritto e canuto, che ci aspettava ai piedi della scala della Chiesa alle porte di Castellabate, intento come sempre a curiosare tra la gente del posto, la fiera gli attrezzi le corde e i dolciumi. Noi ci si recava quasi ogni anno, come si va al raduno semplice, in apparenza, del piccolo mondo antico e anche incantato. Quanto vi fosse di autenticamente religioso e di devozionalmente ortodosso non saprei dirlo. Era luminarie di paese botti e basta. Benedizione compresa. “A Maronna v’accumpagna” insomma – come recita oggi il motto e il relativo nomignolo che per questo si è meritato il cardinale Sepe.

Sul fatto poi che quel titolo a Maria (santa Maria della Scala) venisse imposto in considerazione delle caratteristiche dell’edificio a cui si accedeva per un bel numero di scalini da salire per entrare in chiesa, non c’è molto da aggiungere: l’architettura risponde da sé alla questione.

E’ sul simbolismo della scala semmai e in generale del tempio da scalare che si potrebbe disquisire. C’è indubbiamente da considerare la conformazione abituale dei paesi medievali che le custodiscono, appollaiati e sospesi in cima alla collina; e su, a dominar tutto, la chiesa e lo sguardo benevolo di Maria, Madre di Dio.

E del resto una chiesa non può stare che lassù a sorvegliare, anche se ciò significa che i vecchi e gli ammalati non potranno più tornarvi da un certo momento in poi.

Ma la scala è in primis il simbolo di ogni sforzo di ogni impegno e di ogni ascesi; della salita a cui l’uomo è costretto, a partire da qualsiasi fede civile e religiosa, per ergersi dalla sua minima umanità, fino a portarsi laddove simbolicamente ha sede il luogo in cui si entra in comunicazione con Dio o col Valore assoluto.

E la scala della purificazione, anche in ambito giudaico-cristiano, ha molta fortuna nell’immaginario popolare e in teologia: essa è la scala della virtù dell’asceta Giovanni Climaco (il climax è già di per sé una figura retorica che richiama alla crescita progressiva ed evidente). E’ la scala descritta e immaginata infine in tutti i testi di edificazione: basti pensare alle lettera a Filotea; agli educatori maestri padri spirituali che scrissero soprattutto a partire dall’età della Riforma, cattolici e non.

Insomma, la scala e la salita costituiscono da sé la metafora dell’impegno dell’uomo religioso e della sua crescita spirituale, fatta per gradini e per pioli. Anche qui aggiungerei non sarà casuale l’idea del giubileo con la sua scala santa, delle pratiche antichissime di scalarne per ottenere perdoni ed indulgenze; e in definitiva, neppure quella devozione non solo popolare, sostenuta dalle chiese locali e non, che quei gradini li faceva percorrere spesso a piedi ai penitenti (se ne vedono ancora nei santuari anche in quelli del Cilento di cui si parlava – Gelbison), addirittura in ginocchio: per chiedere la grazia, per ottenere il perdono. Mi ricorda qualcosa di simile anche il dopo celebre schiaffo di Anagni.

Così, la porta santa è sempre in cima alla scala che santifica, a ragione. E qui non c’è solo l’architettura sacra a parlare. Ci sono i testi e i capitolari che parlano di atti penitenziali e di ritualità in uso nella Chiesa non solo del passato. Insomma, non solo di quello.

Richiamare insieme scala e porta è richiamare il simbolismo stesso di Maria, a ben vedere. Ella, nominata pure ianua Coeli nelle litanie lauretane, è la porta a cui si giunge salendo lungo la scala dell’obbedienza e della santità. Nessuno, santa e benedetta come lei. Non c’è altra salvezza – potremmo chiosare – se non attraverso questa via (cfr. l’inno Donna Gloriosa, per esempio - e non è l’unico - dove l’immagine della porta e quindi della via d’accesso a questa è esplicito).

Mentre c’è un’altra via e un altro simbolo a cui conduce quella scala ed è quello della croce. A rifletterci difatti, in molti crocifissi nudi, senza il corpo del Cristo confitto, intendo, in cima, per tradizione in specie secentesca soprattutto, vengono posti sui bracci laterali scale e tenaglie, chiodi.

Gli ultimi due richiamano l’idea della Passione in modo immediato. La scala invece indica che solo attraverso quella salita, che è quella della Croce, del Golgota e così via, è possibile giungere alle porte del cielo, che l’AT del resto richiama nel simbolismo della scala di Giacobbe di cui dicevamo giorni fa e in cima alla quale in un turbinio di angeli e santi si apre una porta per la sua Casa appunto: il Cielo o il Paradiso.

Per quella medesima porta (Maria ed il suo grembo) passa d’altro canto pure il Cristo per condividere la condizione dell’uomo, obbedendo alla necessità di salvare l’uomo umiliandosi fino alle stesse modalità della sua nascita, da un utero di una donna, e condividendone lo stesso dolore, fino alla morte e alla morte di Croce.

Scende quindi anche lui quella scala come gli angeli di Giacobbe e come Maria, obbedendo e lasciandosi deridere e umiliare: dalle stelle alle stalle o anche per aspera ad astra.

E così ugualmente, risale da quella scala per la Croce, portandosi il peso dell’uomo che non lascia a terra, purché questi accetti di salire come lui, sulle sue spalle e sulla sua via, sullo stesso strumento (ex machina) di supplizio, di morte e poi di risurrezione, rinascita, elevazione.

Passando del resto, di piolo in piolo, di gloria in gloria e di incomprensione e scetticismo in incomprensione e in scetticismi, fino alla destra del Padre, dove siede. E da cui ogni giorno torna a scendere portandosi nuovi uomini che, da schiavi ed ostaggi, sono resi liberi lungo una erta strada ch’egli sa bene quanto può saper di sale, con lo pane altrui e il relativo scendere e salir per l’altrui scale.

 

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