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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


LA STRANA SANTITA' DI CELESTINO

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 21 Maggio 2017, 18:39pm

Tags: #la storia, #versi

LA STRANA SANTITA' DI CELESTINO

Non pretendo di aggiungere nulla a quanto già non si conosca sulla vicenda (se n’è scritto a fiumi del resto, e fiumi ancora sono stati riversati qualche anno fa, anche sui giornali, di fronte alle dimissioni di Benedetto XVI: era il 13 marzo del 2013).

E comunque, sulla vicenda di Pier da Morrone che ieri abbiamo sfiorato (ho peraltro deciso di fare un giro in Maiella, dove sorgono gli eremi, dove sorse la prima comunità di eremiti riconosciuta da Urbano IV nel 1246 nda.), mi andava di ritornare, per riparlare di questa “controversa” santità.

E della controversa condanna dei poeti.

Insomma, Celestino V era stato canonizzato nel 1313, esattamente 700 anni prima dell’analogo passo di Ratzinger, ad Avignone, ad opera di Clemente V, si dice dietro le insistenze di Filippo il Bello, e sostenuto soprattutto dalla forza persuasiva degli ambienti monastici e di una parte della famiglia francescana, quello più tesa alla propria vocazione al pauperismo o semplicemente alla lettura integrale, autentica, di Francesco.

Il che però, seppure questa sia la posizione storicamente ed universalmente tramandata, mal si accorderebbe di contro con quelle invettive di Jacopone (chi più integralista di lui?) cui ieri facevamo riferimento (Che farai Pier da Morrone? e Se il mondo è di te ingannato, seguirà maledizione!).

In realtà, Jacopone rappresenta in pieno quegli stessi ambienti che, con la salita al soglio pontificio del papa eremita, avevano vagheggiato e incoraggiato un processo di rinnovamento (e di pubblica emedanzione) del papato di Roma.

Per loro, la delusione fu grande: lo sostennero e se ne sentirono traditi.

In fondo, Dante gli rimproverava lo stesso e nondimeno l’aver reso possibile l’ascesa al potere del cardinale Caetani, Bonifacio VIII, vera peste per lui e per la sua futura sorte politica ed umana.

Non è noto se Dante fu al corrente della canonizzazione di Celestino, almeno non al tempo della composizione dei canti III e XXVII in cui il riferimento a lui appare più esplicito.

Vero è che il nome di Pier da Morrone, da Dante non è mai pronunciato “Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Così com’è altrettanto vero che degli ignavi di cui si sta parlando (non ti curar di lor ma guarda e passa), non a caso il nome non va neanche ricordato tanto che la storia – si vuole intender - ne cancellerà da sé il ricordo.

Non fecero nulla di memorabile costoro, se non essere l’ombra (l’ombra di colui non  dunque casuale) di quel che avrebbero dovuto essere e fare (incontinente intesi e certo fui che questa era la setta d’i cattivi, a Dio spiacenti e a’ nemici sui).

Il disprezzo vale da qualsiasi punto di osservazione si guardi: dal sommo bene e dal più profondo dei mali, da Dio e dai suoi nemici …

Si tratta di cattivi (captivi) d’altronde, cioè di “prigionieri”, letteralmente, della propria indecisione, chiusi nel bozzolo protettivo del non essere né caldi né freddi avrebbe detto l’Apocalisse di Giovanni.

E quindi degni di essere vomitati - a seguire questa logica.

Io “vidi e conobbi”: quella genia mi è ben nota e riconoscibile.

Lo ciel poss’io serrare e diserrare, come tu sai; però son due le chiavi che ‘l mio antecessor non ebbe care (XXVII, 103-105) sarà poi fatto dire allo stesso papa Bonifacio.

Disprezzare questo potere (Mt, XVI, 19) non è come può sembrare sulla bocca di Caetani, non aver abbastanza a cuore il potere anche temporale, oltre che spirituale, conferito al papa dal suo ruolo; ma è prima di tutto tradire l’economia della salvezza che tocca ogni credente.

Il richiamo alla storia di Pier da Morrone che a molti come a Dante riuscì impossibile comprendere, proprio perché la logica della vita contemplativa e di qualche scelta analoga, sfugge non di rado alla sapienza umana, all’idea del ben operare, anche per la giustizia, fattivamente - come se la contemplazione fosse una fede senza le opere - è un’eco di quell’altra frequente querelle in atto tra credenti (ma anche tra non credenti) o tra differenti scelte espressioni e carismi che trovan posto all’interno della Chiesa.

Si tratta di una forzatura indubbiamente e di un grosso equivoco culturale.

Così come la santità di Celestino non può essere valutata a partire da questa pretesa “troppo umana”.

Gli uomini devono rispondere a quel che sono e che son chiamati a fare.

Dei processi di canonizzazione e di beatificazione, ultimamente mi capita di occuparmi spesso, per motivi di ricerca e di ricostruzione storica; per motivi storico-letterari – diciamo pure così. Sono spesso un intreccio di testimonianze, di racconti, anche di “sentito dire”, di “qualche” pressione, di confronti anche serrati e contraddittori tra posizioni e deposizioni anche differenti.

Difficile davvero che un diavolo e anche un povero diavolo divenga santo.

Voglio dire che, di fronte ad una vita fortemente segnata dal male, è difficile far passare il contrario.  

Poi, per carità, mille sono i criteri seguiti e non di rado, sui santi nostri e non, vengono riferite vicende inclinazioni comportamenti e scelte umane, avvenimenti che sembrerebbero contraddire la medesima fama di santità. Bisogna averne piena contezza.

Vero pure, infine, che un processo di beatificazione deve essere sostenuto, incoraggiato, finanziato. E ce ne sono di interrotti per molti motivi: talora di opportunità politica (penso ora a quello di Pio XII, di recente). Altri perché scende l’oblio e manca anche chi incoraggi e “paghi” l’istruzione del processo stesso.

Di Celestino poi, resta la lezione o le diverse lezioni possibili.

Non ci piacciono gli ignavi (e chi crede non può mai lavarsi le mani. Anzi, a questo proposito c’è anche una interpretazione del passo dantesco che vorrebbe leggervi Pilato al posto di Celestino, nelle intenzioni di Dante).

E non ci piacciono coloro che ritengono che la via sia una, per tutti.

E’ eroico chi resiste alle pressioni della Curia (la storia si ripete sempre, anche in questo caso); ed è eroico chi alle due chiavi da tenere preferisce seguire quella che gli è sempre sembrata la sua Unica vocazione: quella della ricerca e della contemplazione.

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