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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


DALLA CRONACA AD UBERTINO DA CASALE

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 23 Maggio 2017, 17:45pm

Tags: #la storia

DALLA CRONACA AD UBERTINO DA CASALE

Fa sorridere, in un giorno in cui c’è poco da sorridere, la piccola questione (piccina), tutta italica peraltro, su chi possa dirsi cosa e su chi ne deterrebbe i diritti (d’autore? di primogenitura?), a piena ragione.

Perché se non possiamo non dirci cristiani – come avrebbe detto il vecchio Benedetto Croce, pur laicissimo e senza essere dunque credente a tutto tondo – e la stessa cosa settant’anni dopo l’avrebbero sostenuta quelli che nella carta europea avrebbero voluto inserita “le radici cristiane” dell’Europa stessa, ipotesi poi accantonata per non ferire la sensibilità di nessuno;

per il medesimo principio ed a rigor di logica, potrebbe anche sfuggire la ragione (?) per cui Grillo “non può dichiararsi francescano”, che è quanto dichiarava legittimamente (?) quarantotto ore addietro, mons. Parolin, dal Vaticano: “di questo titolo egli non si può appropriare”.

Che è lo stesso – c’è da giurarci – di quanto hanno pensato i vertici dell’Ordine che al santo di Assisi si riconduce. Anche se io direi senza timore che “non possiamo non dirci francescani”…

Non entro però nel merito della valutazione politica dell’aspirante francescano (dell’uso strumentale della cosa, non si può discutere: non simpatizzo per lui e non è di questo che volevo scrivere).

 

Pensavo però ieri, di rimbalzo, a tutte quelle epiche battaglie interne all’Ordine di cui sopra, tramandate dalla storia, proprio in quei tempi che abbiamo appena descritto nei giorni passati su questo blog, quelli di Celestino di Dante e Bonifacio, tra Spirituali e Conventuali, tra lassisti e integristi, per così dire, di cui del resto si trova traccia feroce nella Divina Commedia, in quel canto del Paradiso (XII) in cui il domenicano Tommaso d’Aquino tesse l’elogio del “quasi sol oriens”, Francesco.

 

Vado secondo logica, spero …

Chi dunque, nel merito, tra costoro poteva vantare i diritti morali se non d’autore di dirsi francescano per intero? E a chi spettava dirimere la questione?

I tempi cambiano e le battaglie si ripetono.

 

Dante ne parla con chiarezza. Da una parte c’è Ubertino da Casale (1259-1325), attivo nella difesa della povertà francescana, integrale, “senza se e senza ma” – come ora si ama dire ora; nonché della riforma della Chiesa, autore noto soprattutto per quell’Arbor Vitae Crucifixae Jesu, vero e proprio libro simbolo nell’età della grande riforma ed oggi peraltro, al di là di qualche epitome, non facilmente reperire sul mercato librario, quasi novello Gioacchino da Fiore.

Quell’Ubertino contestatore che, nel 1303, predica con foga, a Perugia, contro la rilassatezza dei costumi nella Chiesa. Che incontrò la disapprovazione di papa Benedetto XI e del suo superiore generale, tanto che, a motivo di ciò, gli venne proibita ogni predicazione e venne spedito alla Verna (il posto non è poi da buttare … nda.) per fare penitenza verso la fine del 1304.

La pace nell’Ordine (!) viene sancita con la bolla Exivi de paradiso, da quello stesso Clemente V – guarda il caso! - che fece santo pure Celestino, mentre intanto, perché quella pace fosse duratura, egli fu costretto ad entrare nell’Ordine benedettino.

Si ricorda la durezza delle posizioni di lui, nel V libro ad esempio, giusto a proposito della riforma della Chiesa, non più rimandabile, “in capite et in membris”, gerarchie e fedeli.

Lo stile e il corredo di immagini è di genere apocalittico e parente di quel Pietro di Giovanni Olivi, suo maestro, e della scuola dei gioachimiti, tanto che non saprei dire se ad oggi lo si riconosca in quanto francescano o in quale misura.

L’altro personaggio in questione è invece il più modesto (intellettualmente, ma non certo meno potente) Matteo d’Acquasparta (Acquasparta è una deliziosa località dell’Umbria meridionale: da vedere! Nda.), a capo della corrente della Comunità che puntava al possesso comune dei beni dell’Ordine, come già nei vecchi Ordini Monastici. Generale dell’Ordine nel 1287, ne avrebbe rappresentato l’anima moderata, quindi, quella che avrebbe storicamente trionfato, “il carro del vincitore”.

Dante lo cita malevolmente, con il suo oppositore, nel canto XII, vv.124-126, rimproverandogli la mondanizzazione appunto dell’Ordine dei Minori.

Leggo che peraltro nella questione tra Guelfi Bianchi e Neri, mandato a Firenze, non riuscì nell’impresa di dirimere la questione. Che fu costretto dai Neri alla fuga e che di conseguenza lanciò scomunica e interdetto su questi, non prima di aver lasciato la città del Giglio di nascosto e in grandi ambasce.

Ritorno al punto di partenza.

Ciascuno vantò il diritto della propria francescanità a pieno titolo o, per meglio dire, a titolo esclusivo.

E a ben vedere, nessuno potrebbe impedire ad alcuno di dirsi francescano o di dirsi credente in questo e quello; cristiano o sincretico; buddista e scintoista dell’ultim’ora, o quant’altro; vivendolo ed interpretandolo – beninteso - alla propria maniera.

E’ quel che accade del resto e su cui ben volentieri e spesso ci si accapiglia.

E’ quello, il diritto e il principio a cui rimanda ogni individuo e soprattutto ogni nuova chiesa e nuova setta nascente.

Sulla questione, uscendo fuori da ogni ironia, la Chiesa (le Chiese) interviene rifacendosi al proprio Magistero e a quel che attiene alla successione apostolica, alla custodia dell’ortodossia (ma questo riguarda i dogmi, a ben vedere ..).

Ciò nondimeno, con tutte le forzature del caso e in quello di Grillo in modo evidente; con tutti i distinguo in chiave cristiana e non che si leggono tra le righe “delle sue lezioni” anche in tal merito sovente contraddittorie;

nessuno potrebbe impedire in teoria, a chiunque, di essere e di sentirsi, di autonominarsi “francescano” o “cristiano”, e persino illuminato, predestinato, monaco a modo proprio o sacerdote della vera tradizione: la nuova e la sua, probabilmente.  E nessuno potrebbe obiettargli niente.

Ed è quel che accade infatti, cosa su cui non s’applica per fortuna neppure la legge sui diritti d’autore, come dicevamo, anch’essa ad oggi – per inciso - contestata e sotto esame.

Chi era a maggior diritto seguace di Francesco, dunque: Ubertino o Matteo che pur fece una gran carriera in quel di Roma, legato pontificio e quanto sopra?

Eppure, al primo fu chiesto di sloggiare, benché, fuorché nei toni, fosse evidente che dei due, fosse quello più intento a riprodurre lo stile del fondatore, il quale, di suo – consapevole temo di quel che sono capaci gli uomini – mai avrebbe voluto che la sua compagnia prendesse la struttura di un Ordine costituito.

Ma io, che di storia francescana non sono un esperto e credo neppure un attentissimo ed attendibile studioso mi fermo qua: senza voler offrire a tutti i costi una indiscutibile soluzione.

Che ognuno si dica quel che sente. Per fortuna, alla lunga sono gli atti a determinare la fondatezza delle parole. E la coerenza, credo, anche con se stesso.

 

 

 

 

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