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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Candela numero 1 - vi prego, mai più così

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 28 Novembre 2020, 19:34pm

Tags: #unica

Candela numero 1 - vi prego, mai più così

E’ bastato poco questa sera perché prendessi atto, tutto d’un tratto, di quanto faticoso sia stato questo anno, anche per me. Immagino che lo stesso si potrà dire di ciascuno di noi. Mi è bastato che qualcuno si chinasse per accendere una candela, la prima, che simboleggiasse la prima delle quattro domeniche di Avvento, perché quasi ne provassi un’emozione inattesa ed infantile. Perché è stata dura arrivare fin qui e non era scontato che ci si arrivasse, se non con le ossa rotte. Che in pezzi in effetti sembrano esserlo davvero.

Ora, quel gesto che di per sé è sempre passato inosservato anche a chi scrive, è bambinesco, forse, immaginifico e pure simbolico, retorico (un po’) ed infine commuove solo per quella sua banale tenerezza. Così che quando la banalità ci intenerisce, credo che dipenda dal fatto che è uscita dalla sua normalità per diventare fortemente evocativa.

Non parlo delle attese liturgiche e religiose. Parlo dei giorni che ora ci paiono sereni di fronte a quelli correnti che invece non lo sono per niente, per cui tutto l’ambaradan discussissimo del nostro Natale sbiadito e consumistico che ieri abbiamo detestato, oggi riacquista l’alone elegiaco di quel che ad ora appare perduto.

Hai voglia a dire che Natale non è quello e che sarebbe bene tornare a pensarlo in modo più sobrio, il che pure è vero. Ciò che ci manca adesso è la leggerezza di poter dire “queste cose le detesto”, mentre invece ti trovi a doverci vivere senza. Feste attese vigilie, pranzi, invitati, soldi buttati, messe alla mezzanotte, per chi le frequenta. Il dramma è non avere la libertà di scegliere di farlo o di non farlo. Questo il punto. 

E quello che è accaduto in questi ultimi dieci mesi di vita è esattamente l’avere abdicato alla libertà: di esprimerci, di toccarci, di abbracciarci, di spintonarci, di sedurci, di stare appiccicati sulla metro, sul trenino metropolitano, al mercatino, persino tra i banchi di una chiesa, alla biglietteria, ovunque ci sia gente e ressa, chi suda chi strilla, chi profuma di vaniglia, chi di cucina, chi non sa di niente esattamente come ora. Questa condanna a vivere da asettici, a non soffiarsi il naso, a non tirar su se vedi uno che si inginocchia ad accendere candele perché altri penserebbe che sei infetto e che sei molesto; per non metter loro paura; non lacrimare, non cantare, non droplet, con sputacchiare, non parlare troppo vicino, non sudare, non incrociare a meno di un metro e mezzo di distanza.

A quel punto, confesso, non ho sentito più una sola parola di chi stava celebrando in chiesa. Mi è ripassato davanti agli occhi un anno quasi da incubo, di solitudini, di telefonate da lontano, “chissà se e quando ci vediamo”; “no stai tranquilla, non vedo nessuno. Non vado più nemmeno al bar per prendere un caffè. In Chiesa pure, il minimo sindacale, per non rischiare”. Mi sono passati davanti i fotogrammi di un anno strampalato. Un anno fa avevo il mio programmino: compro questo e quello, per mamma, papà, sorella, fratello, amico; e la lista a questo punto dell’anno era quasi esaurita. Non che fosse questo …

Mi ero procurato qualche nuova statuina per il presepe dodici mesi fa, di questi tempi. Ora, non so. Abbiamo bisogno di un po’ di tenerezza, di essere supportati, rassicurati, incoraggiati a riprendere tutto daccapo, non dico come prima, ma a partire dal punto in cui siamo arrivati.

Sarà per questo che queste candele quattro, da qui al 25, a Dio piacendo, come dicevano i vecchi, vorrei che fossero una promessa ogni giorno più concreta: te lo giuro, mai più così.

E’ così che si manifesta la stanchezza e l’insipienza degli umani. Dicono che sia così.    

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