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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Faccia splendere su di te il suo volto - Miti e simboli dalla preghiera di Aronne al simbolismo della luce

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 27 Novembre 2020, 18:31pm

Particolare da Giuditta e Oloferne (Caravaggio)

Particolare da Giuditta e Oloferne (Caravaggio)

Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: Così benedirete gli Israeliti. Direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace. (Numeri 6, 22-26).

Sono arrivato a questo brano, dopo averlo individuato tra le note introduttive del salmo 66 (Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto) che, come si nota chiaramente, è la trasposizione della preghiera di benedizione di Aronne, ed è anche la formula di benedizione che Francesco d’Assisi usava di frequente con chi lo incontrava oltre che con i suoi primi compagni. Sulle ceramiche e sulle figurine che hanno poi invaso il mondo ed i negozi di souvenir che rimandano al santo di Assisi, spesso campeggia questa formula di benedizione infatti.

Il richiamo all’idea all’invocazione ed al bisogno di essere custoditi e di essere protetti e difesi è costante nella Scrittura. A volte si traduce nell’immagine simbolica della città assediata da fortificare (girate intorno alle sue mura, contate tutte le sue torri); o anche “celebre il Signore, Gerusalemme … perché ha rinforzato le sbarre alle tue porte”; o quando (121), sotto le sue mura, la città è descritta come salda e compatta. Là saliranno le tribù del Signore. Altre volte ancora, Gerusalemme è ridotta in macerie (78), il che non è solo trasposizione di un fatto storico; e del resto sarebbe infinita la gamma di esempi a sostegno di questa coerenza metaforica. Cosicché, se la città di Dio ed il suo tempio non sono che ogni uomo soprattutto, in chiave individuale e personale dopo quella collettiva di cui dicevamo, va da sé che sia sempre lecito e legittimo chiedere quella difesa e quella protezione; che la si rivendichi e la si implori in forma di preghiera; che a ragione gli uomini se la aspettino da Dio. Nei casi migliori che ciò si traduca da parte di ciascuno, in azione, prevenzione e infine affidamento. Ogni custode (non dico solo di angeli e di patroni) è la sentinella che la Bibbia annuncia a difesa del fortilizio. Da bambini, tra le prime preghiere insegnate, quella che riguarda “l’angelo custode” e in più ho avuto modo di ascoltare e di leggere preghiere di affidamento e custodia, rivolte a Michele (arcangelo), in armi quindi come un guerriero, contro le schiere dei demoni che si aggirano per il mondo per il male delle anime (magari anche dei corpi ndr.).

Altro riferimento che mi sembra significativo in quella benedizione di Aronne e del salmo 66 sta nel versetto “faccia risplendere su di te il Suo volto”. L’idea di un volto risplendente quella luce richiama a diverse suggestioni. La prima: l’olio con cui si ungono i re d’Israele (ma poi anche i re del Medioevo) che indica la regalità e la benedizione. L’olio è, dal punto di vista alimentare, il segno dell’abbondanza. Non è detto che l’olivo non sia attaccato dai parassiti. Un anno senz’olio è un anno non benedetto; è come nel racconto di Giuseppe, un anno di vacche magre. In secundis, cospargi di olio il mio capo è usato nel salmo 22 e richiama alla stesso principio a cui però andrà aggiunto dell’altro (vd. cospargi di olio il mio capo, mi dai la forza di un bufalo). Ci si cosparge di olio infatti, per sfuggire alla presa dell’avversario, anche nella lotta. E l’olio rende splendido il volto, luminoso, in ogni caso. Che, per traslato, ma neppure troppo forzato, è il principio per cui nella cosmetica se ne fa uso (ne facevano uso gli egizi) e il volto unto è un volto giovane e pieno di vita, non rinsecchito dagli anni e dalla disidratazione. La pelle – noi diciamo infatti – va nutrita perché non invecchi. Quell’olio è anche il segno che il tempo non ha recato il suo oltraggio e quasi è un anticipo visivo, simbolo d’immortalità. Il volto che risplende e che lo è di Lui, come nel testo, rimanda poi agli stessi colloqui di Mosè con Dio, per cui il suo volto risplendeva in tal maniera, dopo averlo incontrato nella tenda, da dover essere protetto e coperto da un velo (san Paolo interpreta la cosa a suo modo). In ogni caso, la velatura è atta a proteggere quella luminosità superna e purificante, dalle ingiurie della luce naturale.

Potremmo aggiungere ancora che nelle esperienze mistiche ed in quelle in qualche modo religiose (io direi “del piacere”, in senso più ampio: si pensi all’estasi di Santa Teresa) il volto di chi esce da uno stato di contemplazione, se non dall’estasi stessa, è sempre risplendente di luce.

Appena in questi giorni, lavorando alla ricostruzione degli atti del processo di beatificazione di una monaca vissuta tra XVI e XVII secolo, le testimoni parlano di questo volto risplendente di luce (è sempre un richiamo alla giovinezza del cuore ed al non appannamento dell’entusiasmo, tanto in senso religioso che laico, di ogni giovinezza); se non addirittura di una corona di luci e di stelle (talvolta noi ci riferiamo all’aura).

Si può notare che queste luci diafane e trasparenti che attraversate, attraversano e risplendono, sono sempre presenti nella rappresentazione iconografica di santi e Madonne; perché la luce è giustappunto il segno di questa benedizione.

Tutta la verità un giorno, si dichiara nei Vangeli, e non solo in essi, verrà in piena luce.

Anche nell’episodio di Daniele, contrassegnato dalla visione dell’uomo e dall’apparizione dell’angelo (Daniele, 10), il profeta ricorda come a questa apparizione luminosa si fosse preparato col digiuno (non presi né carne né vino- e la mistica di cui sopra per tutta la vita fece lo stesso, tanto che la radice di questa astensione dalle carni tra origine in episodi rituali come questo); e in più, senza ungersi mai d’unguento. Alla fine, nei pressi del Tigri, appare “un uomo vestito di lino, con ai fianchi una cintura d’oro di Ufaz; il suo corpo somigliava a topazio, la sua faccia aveva l’aspetto della folgore, i suoi occhi erano come fiamme di fuoco, le sue braccia e le gambe somigliavano a bronzo lucente.

Che è poi il trionfo della luce, ancora.

Alcuni di questi passi, nella tradizione cristiana precedono la festa della luce, il Natale, a suo modo luminosa apparizione del Sacro, incarnazione a cui segue infatti una Trasfigurazione. A questo, l’Avvento che sta per cominciare, prepara a sua volta con luci e lucette che man mano abituano l’occhio allo splendore (Dante scrive spesso qualcosa del genere nelle sue visioni) e che per i Padri simboleggerebbe quel che è la luce ancora non piena (come quella sul volto di Mosè) della Profezia e dell’Antico Testamento, rispetto alla deflagrazione di questa (cometa etc.) della Natività del Messia (perché tal è il Natale) e di quel popolo nuovo che da lui prende corpo e voce. Luce, in definitiva, sempre. E non solo quello dei centri commerciali …

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