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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


La fuga in Egitto - metafore -

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 23 Dicembre 2019, 12:00pm

Tags: #Lo spirito del viaggio

Annibale Carracci Paesaggio con la fuga in Egitto.

Annibale Carracci Paesaggio con la fuga in Egitto.

Giuseppe vorrebbe ripudiarla. Magari in segreto, ma insomma è questo l’orientamento. La giovane Maria sostiene di essere in attesa, per opera dello Spirito Santo. Banalissimi le spiegazioni  e i commenti che trovo correntemente sul tema e sull’episodio. L’ultima: contempliamo il silenzio di Giuseppe, la sua santità profetica. Va molto di moda adesso. Non il silenzio, in verità, perché questa società, a partire dal sottoscritto, in silenzio non sa starci. Noto spesso, anche nelle nostre chiese, questa diffusa incapacità di stare un attimo muti, a labbra serrate, senza pronunciar preci e formule. Orror Vacui. Timore di restar soli. Capisco la devozione e la religiosità popolare che va rispettata. Benché pensi con forza che anche quella capacità di starsene buonini e magari concentrati tra i banchi andrebbe insegnata. Già. E da chi?

Noi che entriamo un attimo dopo, o solo per un attimo e basta, è quello che cerchiamo. Ci piace il silenzio muto del tempio; il fuoco caldo di un cero silente; ci piace contemplare e guardare tutto ed ogni cosa così, forse così pregare. Perché io non riesco, se non trovo quel po’ di raccoglimento di cui ho bisogno. Neanche a leggere una riga. E se continuassimo a vociare, fossero anche le litanie dei santi, non sentiremmo voce che parli, ma suono e strepito.

Giuseppe si addormenta, ad ogni modo, e in sogno gli parla un angelo, un altro, che gli raccomanda di non aver paura e di prenderla in sposa.

La tentazione personale è quella di sovrapporre a questa vicenda un po’ di storia paradigmatica ed insieme personale. Che, poniamo che Maria fosse la sposa e la chiesa di cui nulla sappiamo se non per fede (così nulla pure della sua “sospetta” fecondità), noi saremmo quindi i Giuseppe che la vorrebbero di continuo mollare. Avendone mille motivi. I suoi modi infatti fanno paura. Capita che nel sonno ci si suggerisca di non farlo. E che, alla luce del sole, molti ci consiglino di essere ragionevoli ed obiettivi: quella donna è equivoca mendace e non è sicura. Il problema è che sulla castità di Maria ci si può puntare. Su quella di questa Chiesa non saprei se si potrebbe fare altrettanto.

Tanto che questa è più simile a noi, che non noi al paziente Giuseppe. E, a far così, le cose si complicano non poco. I ruoli si mescolano e si sovvertono. E alla fine nessuno sa bene chi sia cosa; e cosa faccia chi. Mentre certi paralleli mostrano la corda. Resta il non dover avere paura, come l’angelo suggerisce in questa narrazione. Non paura di quel che è e che siamo. Delle distanze, delle diffidenze e delle incomprensioni. Difficile la convivenza sotto la stessa capanna, anche i giorni che precedono il Natale. Per non dire di quelli della fuga.

Ma tutte queste immaginette di questi giorni – sia detto con rispetto - e magi e pastori ed Elisabetta e Zaccaria, prima, e Giovanni,  e così quel che verrà ancora, non è schema d’altro che dalla commedia umana, oltre al resto; del suo porsi di fronte all’esistenza. Perciò – mi dico ricordando teatri mobili e Medioevi - diverrà teatro sacro questa congerie di eventi e di figure. E perciò al Vangelo si può guardare anche come a una novella – non per forza di fantasia, ma fantastica sì - perfetta, classica e intramontabile, come un’eterna rappresentazione di quel che è umano. Ci piaccia o meno. E già questo è un gran valore … Anche se gli interpreti moderni a volte sembrano mostrare la corda.

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