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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


PREGARE E' UN INCONTRO CLANDESTINO

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 20 Marzo 2018, 18:33pm

Tags: #preghiere

PREGARE E' UN INCONTRO CLANDESTINO

Quando preghi, non farti vedere, cioè non fare in modo che tutti ti vedano perché tu costituisca la celebrazione e la certificazione di quel che fai e di quel che vorresti sembrare; ma ritirati piuttosto nella tua cameretta e poi tutto il resto.

Di fronte alla spettacolarizzazione ed alle adunanze pubbliche e muscolari – guardate dunque quanti siamo! – preferisco questa dimensione della preghiera e della ricerca che qualcuno chiama invece, in modo riduttivo e semplicistico, solo “intimismo”.

Non so bene cosa sia l’intimismo. Forse solo una forma di sentimentalismo. Come crogiolarsi – ne deduco - nell’illusione che questo Dio sia tutto per me. E che la nostra fede, il nostro dialogo siano cosa nostra. Cosa Nostra non possono essere. Neppure i ristoranti possono assumerne il nome – è stato appena sancito.

Ad ogni modo, l’intimità nella preghiera è quella che ne prova l’autenticità: soli con sé stessi e con il Padreterno non è che si possa mentire più di tanto. Ci si guarda in faccia come in una notte passata assieme non saprei se sotto le stelle, in viaggio o solo all’addiaccio bloccati dalla tormenta tra la Carnia e il confine con l’Oltrecortina, in corsia in ospedale, persino. E ci si dice molto, quasi tutto, spesso.

Di notti così, da ragazzi ne abbiamo trascorsa più d’una, in questo clima di confidenza estrema e disinibita. E persino ci si innamorava un po’ l’uno dell’altro. Proprio perché uno, al buio, proprio non se le mandava a dire. Ma io sono di parte, lo so, anche perché, se così non fosse, neppure saprei spiegare le scelte ultime che ho compiuto, nell’illusione che questa condizione fosse la migliore per saperne e capirne qualcosa, del tipo “Tutto su mio padre”. Metterlo alle strette: “ora devi parlare!”.

E’ verità: noi non ce le mandiamo a dire.

Fosse pure un simulacro ed un altro che mi sono costruito come farebbe un alienato, come l’altra parte di me, quella che mi perseguita a volte come un tiranno; o che invece mi sa perdonare tutto quello che io non continuo che imputare a me stesso. Non si ferma tutta la notte la nube sulla tenda, né si può dire che al mattino, alzatasi la nebbia, si riprenda il cammino. Perché questo è un Paese di nebbie perenni.  Così stanno le cose.

E mi piacerebbe che fosse questa la condizione di ogni isolato come me, monos per convinzione, ora, che aspetta la Risposta. Al punto che risposte non ne trovo. Perché il punto non è questo, poi. A me bastano le molte domande e la gran quantità di quelle inevase. Tanto mi appaga.

Questo aspetto del Cristo (e anche del Buddha – mi si passerà la cosa -) che si ritrova solo a interloquire col nulla, in apparenza, parlando come farebbero tutti, se solo ci provassero, dunque tra gli alberi e gli ulivi, in mezzo alle colline; che si apparta; mi piace e mi sconvolge sempre.

E non si tratta neppure della catena dei dogmi conseguenti e conclusivi, delle verità di fede in sé – sempre rispettabili – ma proprio della condizione. Cristo e chi gli somiglia è bello prima ancora di ogni dottrina.

Tanto che l’unica accettabile ed accessibile, per me, resta lui.

Quello pubblico e il predicatore mi si addice di meno, invero. Non moltiplicherei né pani né pesci e un po’ mi sottrarrei, nella cameretta, o su per grotte e spelonche (e dire che sono uno che ama la luce!). Trovo che sia questa dimensione – checché se ne pensi in giro, ammesso che resti traccia di un pensiero da qualche parte  – che il cristianesimo d’Occidente abbia trascurato, preso com’era da altro e dall’apologia delle folle oceaniche numerose come la sabbia del mare.

Del silenzio, parla ormai quasi più nessuno, se non come di una pratica terapeutica e di uno strumento per ritrovarsi un po’.

Il fatto è che il ritrovamento non si compie mai, mai del tutto e uno le capanne lassù, sul Tabor (costruiamoci tre capanne, restiamo qui!) le ritiene indispensabili. Sono quelle che incuriosiscono. “Ma dimmi un po’: come si farà a vivere così?” – dicono in giro.

La verità è che pregare per me è come un amore clandestino. Darsi appuntamento e farsi trovare. Di nascosto. Ci vediamo senza dirlo in giro. E finché è così che è andata, è stato un gran piacere. Poi, molta più fatica. E’ come l’amore e la sua ufficializzazione (neppure dico “il matrimonio”), che diventa – sostengono - la fossa di ogni amore.

Pianificare e dover mettere a regime rischia di farti perdere la bellezza del piacere rubato, per farne altro: un buon esempio da indicare, una conferma che, nonostante la quotidianità, “guarda quei due com’è che si vogliono ancora bene”, e molto altro ancora.

Cresce l’amore, mi dicono, ma io resto per quelli che se lo vivono così, persino un po’ al buio, come se non fosse lecito e fosse persino un po’ contrario al sentire comune. Cosa che è, in fondo.

Ora che tutto è foto spettacolo link condivisione e visualizzazione, ora soprattutto, quanta gente si apparta ancora davvero per abbracciarsi o anche sola per pregare?

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