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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


LUCIA DA NARNI -Una vita da romanzo - III parte

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 15 Giugno 2017, 09:42am

Tags: #la storia

LUCIA DA NARNI -Una vita da romanzo - III parte

Per Lucia Broccadelli, prima la fuga a Roma, ospite in via di santa Chiara, in un Monastero che sorgeva nei pressi di piazza della Minerva, e dove aveva dimorato anche la prima “tutrice” di Lucia, Caterina da Siena (oggi sarebbe un albergo – ricordava mons. Cotini).

Poi fu Viterbo, anche al fine di sottrarla alle manovre e alle pressioni che a Roma sembrava in grado di mettere in atto Pietro, suo marito, presso le Terziarie Domenicane. Il monastero, intitolato a san Tommaso apostolo, della omonima chiesa parrocchiale, sorgeva nei pressi di un’altra dedicata a San Bernardino da Siena.

E’ lì che Lucia comincia a spendere “le notti intere in contemplazione dei misteri della Passione; e talmente s’internava in essi col pensiero che il più delle volte sopraffatta da una vera compassione, cadeva tramortita in terra” (cap XV “Vita” raccolta da F. Domenico Ponsi).

Qui – racconta padre Tommaso Granello - la Beata prese a flagellarsi tre volte al giorno, al modo di Caterina e di Domenico; che si cinse d’un cilicio, o di una catena; ed è ancora lì che avrebbe ricevuto dall’alto come un anello di consacrazione che l’avrebbe legata per tutta la vita.

“Non più che leggere e meditare questa Sacra Storia, si richiede per divisare la crocifissa e stimmatizzata vergine Lucia da Narni, Beata anche in sua vita; lungi da me fia qualunque altra gloria” – scrisse fra Onorio dell’Assunta, Carmelitano scalzo, Consultore dell’Indice de’ Riti e Qualificatore del Santo Uffizio – più tardi, messo di fronte ad episodi e costumi come quelli di sopra riportati.

E’ qui che dunque ci ricongiungiamo con ciò con cui abbiamo iniziato: l’episodio della stigmatizzazione di Lucia Broccadelli, non solo per questo Beata.

Riprendo da p. Granello, O.P che riscrive della vita di Lucia, nel 1879, dettagli che il padre aveva raccolto nella sua ricerca. Di come, la notte del 24 febbraio 1496 (per altri è il 25 ndr.), essendo ella in preghiera dalle 24 (o dalle 22, come si legge altrove) e giungendo con la salmodia (altri specifica del “Mattutino”, Jacobilli) fino al salmo 88, che recita Misericordias Domini; cadendo la seconda settimana di Quaresima; Lucia, rivivendo la Passione di Cristo in una estasi impenetrabile che si concluderà non prima delle 9 del mattino del successivo 25 (o 26) di febbraio; presenterà a partire da quel momento ed in modo evidente, i segni delle cinque piaghe, delle stimmate, sul suo corpo giovanile; come se questo presentasse d’un tratto delle ferite e dei gonfiori inspiegabili, se non alla luce della fede, fenomeno di cui per prima è testimone la sua compagna più fidata di allora, suor Diambra.

La stessa riferisce che nel mentre, Lucia ripeteva come in uno stato di incoscienza “Signore, io ti veggo confitto; voglio star teco; dammi la tua Passione nelle mani e nei piedi e fa’ che, fino che io viva, fa’ che sia permanente”. Così riporta anche lo Jacovilli (pag 41) sulla scorta di quanto raccolto dai biografi domenicani della Beata, che precisano altresì che le manifestazioni si fanno più evidenti e dolorose, sanguinanti, nei giorni di mercoledì e di venerdì di ciascuna settimana.

Proseguendo la narrazione, diffusasi fama del fatto straordinario “Vennero a vedere Tito Maolino, vescovo di Castro; il padre fra Domenico da Cargnano, Inquisitore dell’Ordo Praedicatorum di san Domenico; due Priori del Magistrato della città e alcuni canonici, medici e chirurgici (sic!) e altri principali di Viterbo, i quali vollero toccare, e vedere esse Sacre Stigmate, e per Pubblico Instrumento e Processo fatto adì 27 aprile 1497, per rogito di Egidio Ceoli notaro di Viterbo, approvarono esse vere, e reali. Nell’essame essa Beata disse, che per sett’anni haveva pregato Dio havere in sé quella Passione e dolore, e il Signore l’aveva consolata per mezzo di santa Caterina da Siena, la quale ottenne da Dio che quelle stigmate fussero visibili e palpabili in testimonio delle Stigmate che ebbe essa santa” (Jacovilli).

Faccio notare, davvero al volo, il procedimento tutto giuridico e notarile, segno di un’epoca che “al notaro” assegna anche in questa materia un ruolo di garante assoluto (contro gli eccessi si rileggano certe pagine manzoniane ndr.); e non ultimo il ricorso di Lucia a quella perpetua intercessione che l’accompagna fin dalla culla: quella di Caterina da Siena, come lei, domenicana e stigmatizzata, “contestata”.   

 E’ a questo punto che si dovrebbe inserire tutta la pletora di processi, di “essami” (ben cinque ufficiali e registrati), a cui la Beata fu sottoposta per mettere a fuoco la natura della sua stigmatizzazione (talvolta la cosa fu strumentale e pretestuosa, quando – già iniziata quella sorta di persecuzione che la porterà all’isolamento di Ferrara – si scomoderanno persino dalla Baviera per far luce sul fenomeno che s’intende sminuire, se non smentire).

Ne risparmiamo l’elenco, che rischierebbe di risultare notarile anch’esso.

Basti sapere che, dopo il governatore di Viterbo; si mossero l’Inquisitore della stessa città; Alessandro VI papa che invia il suo medico personale; l’Inquisitore della Germania di cui sopra. Fino a quel procedimento che più ci sta a cuore, visti gli sviluppi successivi: Anno 1502, Ferrara, alla presenza del duca Ercole d’Este e di Lucrezia Borgia, da poco sposa di Alfonso d’Este.

La Commissione è presieduta dal medico di Alessandro VI, nel frattempo divenuto vescovo di Venosa (cfr. Gino Cotini, Lucia Broccadelli, Atti del Convegno tenutosi a Narni il 24-25 ottobre 1986). E precisa qui Ileana Tozzi (vd. oltre):” Papa Alessandro VI, per porre fine alla delicata questione, invia per un definitivo riesame il proprio medico personale, Bernardo Bongiovanni da Recanati: il 16 febbraio del 1502 suor Lucia è accompagnata presso il monastero ferrarese dell’Annunziata, dove la visita ha luogo al cospetto del Duca, di sua nuora Lucrezia Borgia, del vicario generale di Roma Pietro Gambo. Il referto medico è estremamente dettagliato: l’illustre clinico espone fin nei dettagli i risultati della sua ricognizione che sottopone all’avallo dei vescovi Pietro da Trani e Nicola Maria d’Este. Così il patologo pontificio Bernardo Bongiovanni descrive le stimmate di Lucia da Narni: “nelle mani, cioè nel mezzo della palma, accuratamente investigando e toccando con diligenza abbiamo trovato due ferite di figura sferica bagnate all’intorno di sangue lucidissimo; e ciascuna ferita aveva nel mezzo dell’apertura il sangue alquanto congelato, e l’una e l’altra erano di uguale grandezza; e sebbene quando quella vergine era leggermente toccata circa la ferita, veniva assalita da grandissimo dolore, pure tutte le altre parti della mano che stavano più presso la ferita, se si eccettui qualche dito verso l’incurvazione vicino alla palma, e nel colore, e negli accordi, e in ogni loro natura (ciò che non può darsi senza prodigio o miracolo) belle giacevano incolumi e sanissime con tutta la loro integrità (...) Con simile studio e diligenza abbiamo esaminato i suoi piedi, che in egual modo avevano impresso le medesime piaghe: cosa degna non meno di considerazione che mirabile, perché ciascun piede in tutta la sua integrità nelle altre parti, aveva sulla sommità la sua piaga, sebbene questa sia maggiore nel destro che nel sinistro. Il che è alieno non pure da meraviglia che da ragione”. (/www.storiadelmondo.com/rso/1/tozzi.terziarie.pdf› in Rassegna Storica online, n. 1 NS (IV), 2003 (suppl. a Storiadelmondo, n. 4, 24 febbraio 2003).

 

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