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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


TI ABBRACCIO LASCIANDOTI SALPARE

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 27 Maggio 2017, 10:35am

Tags: #Lo spirito del viaggio

TI ABBRACCIO LASCIANDOTI SALPARE

Il Padre stesso vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio (Gv, 16-27).

Non occorrerebbe molto altro in fondo. E trovo che ciascuno possa interrogarsi in merito, senza timore: Mi è accaduto? Me ne sono mai innamorato? Così, io. Moltissimi lo hanno fatto, da secoli. Molti di più di quanti saremmo portati a credere.

“Quell’uomo doveva essere davvero il Figlio di Dio” – come fa più o meno il centurione – o “quell’uomo è stato davvero straordinario. C’è in lui qualcosa di divino”. E così sia.

E’ quella fede e quell’ammirazione che, pure nello spazio di un mezzo pensiero, ci può far dire a ragione che sì, lo abbiamo creduto davvero che quell’uomo fosse uscito da Dio. O che era un dio.

Magari uscito dalla sua mente. Anzi, mi piacerebbe pensare che ciascuno di noi lo fosse (?): uscito da quella mente e da quel pensiero.

Poi, la vita può prendere altri percorsi e distrarci, dovendo fare i conti con un quotidiano in cui si incontrano molti piccoli uomini, uomini modesti, mentre lo scopriamo malvolentieri intanto pure di noi stessi. Non sempre. In varia gradazione e senza mortificarci e senza colpevolizzarci. Non è detto che tutti lo siano alla stessa maniera.

E’ che le cose che abbiamo vissuto ci hanno fatto aprire gli occhi poi, sulle relazioni in cui il nostro interlocutore è assai di sovente un lillipuziano, un nano del cuore.

Per un attimo l’ho creduto però: quell’uomo, quell’idea di uomo è uscita proprio dalla mente di Dio, è il Dio che ha e avrebbe partorito la nostra mente, con appena qualche variazioni. In ogni caso è quasi quello che avremmo voluto, anche solo ragionando, che avremmo prodotto – dico più o meno.

Non vorremmo tutti che l’Uomo fosse così?

Di più. Ci sono stati tempi e momenti in cui avremmo desiderato imitarlo. Anzi, lo desidereremmo, di essere grandi così. Così che un po’ a intermittenza (ma questo è l’uomo, o no? un volto sfigurato, un volto sfinito) ci siamo impegnati.

Forse è di quella fede e di quel progetto, di quel sogno che non bisognerebbe stancarsi mai. Ma non dovremmo essere gli uomini piccini che siamo, circondati da altri ed altro come noi.

Ciò nonostante, me lo ripeto sempre: non devo rimproverarmi di niente!

Voglio dire: ho fatto quel che sapevo e che potevo. Magliette sudate come a fine partita, affaticato – come diceva il mio amico allenatore di pallone.

Molte vicende, mie e altrui – è certo - mi fanno chiedere se sia così evidente di poi, che solo per questo un Padre mi abbia amato, ma insomma piace pensarlo e sperarlo, quando riesce. Signori, so di aver dato.

C’è però una parola, in ogni vangelo, che mi ritrovo sempre tra le sue, incomprensibile ora ed incompresa; a volte irritante addirittura per l’uso che se n’è fatto in giro, come di un termine che ha il potere di farmi ribellare e che quanto meno mi mette in tensione perché si tratta di un vocabolo abusato, stropicciato, maltrattato, divenuto melenso, falso, accartocciato nel perbenismo e nel buonismo di maniera; perché troppi se ne servono come se fosse un kleenex, troppo inumidito dalle colpevolizzazione indotte della cattiva coscienza, “clericalizzato” in certe sfere di non discussione.

Non si fa che parlare di “amore” ...

E poi di amore con cui amare fratelli e sorelle e chi non ci ha amato. Come se bastasse dirlo e poi la pacca sulla spalla per dire “amore”. O darsi un bacio sulla guancia come fa il Traditore.

Mentre mi dico di rimando, da un po’, che se la raccomandazione, “amatevi”, vi qui è ripetuta come un ritornello, è perché dell’amore è evidente che non siamo capaci, quasi mai.

Che appunto non è mai, mai lo è stata, la cosa sdolcinata che pensiamo. Che non è neppure le carezze dell’amore, come nella canzone, dopo i graffi sui seni.

Che l’amore è desiderare solo che un altro sia e che si senta sé e veda di “strutturarsi realizzato”. Che l’altro sia pienamente la sua naturale germinazione, la sua maturazione. Io voglio il tuo bene se ti amo: è questo l’amore. Costasse pure di perderti per sempre e di ricordarti solo da lontano. Ti abbraccio lasciandoti salpare.

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