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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


E' UN IMPIANTO DI LUCI

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 26 Marzo 2017, 11:10am

Tags: #Lo spirito del viaggio

E' UN IMPIANTO DI LUCI

 

Non si cambia idea come se nulla fosse. La penso ancora così. Come avrebbe detto Paolo “per me vivere è Cristo e morire un guadagno”. L’ho pensato qualche anno fa e lo confermo.

Dopodiché, vivere Cristo, vuol dire cose che andrebbero precisate e puntualizzate. Vuol dire per me: la vita di Cristo mi ha conquistato e mi affascina. Con le dovute variazioni sul tema, visto che sono un uomo e che sono allo stesso modo fragile e in un altro tempo, continuo a pensare che i gigli dei campi vivono meglio di tutti e così gli uccelli del cielo; che riuscire a perdonare e a non giudicare sia una gran cosa; che aver fede in un Dio che a volta sembra averti abbandonato, ma insomma c’è pure se non si vede, come nei giochi di Silvan, è un gran guadagno; e che essere troppo egoisti e presi da sé in fin dei conti non porta da nessuna parte.

Continuo a credere che è bello non aver padroni e tiranni; che la giustizia degli uomini, che però va curata e migliorata, non rende merito alle persone.

Che non mi piacciono farisei e maestri della legge, quelli che salgono sull’ambone a dare lezione: “non fatevi chiamare maestri e neppure rabbì”.

Al che anzi, sento di dovermi scusare se si può, per tutte le volte che son salito a dar lezione, io che di lezioni non vorrei mai darne, in teoria. Avrei voluto condividere, ma ammetto di avere spesso sbagliato il tiro e il tono, molte volte. Prometto di non farlo più.

Che poi “morire sia un guadagno”, lo è talora. Soprattutto morire a quel che ci imprigiona, e cioè far morire la loro tirannia.

A me capita con i risentimenti, con i brutti ricordi, con un passato fatto di molte delusioni, di qualche tradimento; con i sensi di colpa e infine col desiderio ancora vivo di piacere a tutti i costi e di essere accettato, da tutti, da molti e soprattutto da qualcuno.

Lasciar morire questo, di noi, è un gran guadagno.

Lasciarci uccidere “in nome di”, può essere personalmente presunzione. Non sono pronto a farlo: sarei bugiardo a dire il contrario. Serve più un santo morto o un uomo che vive in certo modo?

Penso a quel cieco a cui viene ridata la vista (era oggi nel Vangelo) e mi dico che la cecità più profonda (lo dice anche l’autore, Giovanni) è quella di creder di vedere, al punto di sentirsi capace di mostrare la via: “passi di qui, che la via è sicura!”.

Io so soltanto che tante sono le vie per vedere e per scorgere, un po’, tutto, qualche cosa da lontano. Penso alle scienze umane, penso all’arte alla filosofia, al canto alla danza, al trivio al quadrivio, all’osservazione della natura e del cosmo e ad ogni cosa dunque.

Penso che c’è molta luce dappertutto e che ci sono molte tenebre anche dove si afferma di essere distributori unici di energia.

Non credo nel monopolio, da buon liberista “illuminato” (?).

Insomma, non che si debba spegnere la propria di luce, ma che bisogna stare in sé: siamo quello. Gli altri o vedono o non vedono. Quello che vedono è spesso invece la nostra ansia di dare lezioni.

E allora la luce si spegne, anzi è una luce che non piace e non attira più.

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