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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Se l'emergenza rivaluta anche il kasherut

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 22 Febbraio 2020, 12:11pm

Tags: #unica

Se l'emergenza rivaluta anche il kasherut

Premetto che il breve pezzo che segue nasce sì da una curiosità sollecitata dall’emergenza sanitaria di queste ultime settimane, ma che esso non intende in alcun modo sostenere una tesi che giustifichi e spieghi quanto sta accadendo, dandogli all’untore ed alle tradizioni alimentari, vere o presunte, di quella parte del mondo oggi sotto assedio.

Di rimando agli ultimi avvenimenti ed al tentativo di spiegare anche con il richiamo a certe abitudini alimentari in uso in Oriente sulle quali nulla dico, mi sono ricordato, come tanti, dei molti passi, dal libro del Levitico (cap. 11) al Deuteronomio (cap. 14), in cui la Bibbia e la Torah, per meglio dire, impongono regole e raccomandazione in tema alimentare. Senza contare la casistica ricchissima a cui hanno dato luogo esegeti e commentatori nel corso dei secoli, in tema di cucina e alimentazione Kosher.

Il tutto passa sotto l’occhio vigile di quella sorta di regolamentazione che diciamo kosherut, per cui si determina “l’adeguatezza di un cibo” per gli uomini. Per cui si dice kasher o kusher (ho sentito anche cosher nda.) un certo genere di cibi, di carni per esempio, mentre altri vengono considerati impuri (tafer). Determinante è peraltro la preparazione, la macellazione, l’abbinamento degli alimenti. Ma su questo lascio a voi approfondire.

Il principio è passato quindi ad essere quello della purezza e della impurità. Un cibo può essere puro o meno.

Per inciso mi ricordavo un passo evangelico in cui il Gesù di Nazareth avrebbe accusato di formalismo e di ipocrisia gli osservanti, in quanto dall’esterno nulla potrebbe essere introdotto di impuro nel corpo, mentre impuro è quel che esce dal nostro cuore. Forse che il Maestro contesta il principio del Kosherut? Credo che si tratti in effetti principalmente di una metafora, forte, ma pur sempre di metafora. Nel senso che le regole a nulla servono se il cuore è chiuso ai bisogni degli altri. E per quanto le tavole apparecchiate dai Gentili, pure quella sognata a Giaffa da Simon Pietro (Cefa), fa pensare che i primi cristiani effettivamente avessero abbandonato queste regole, al fine di non scandalizzare i loro ospiti. Anche Paolo si sofferma sulla questione e anche qui la polemica è tra regole e libertà, tra giudaismo regolistico ed affrancamento da questo.

Ad ogni modo, da Maimonide in poi, e fino al secolo scorso, c’è chi ha cercato di spiegare questi obblighi alimentari della tradizione ebraica, come raccomandazioni ispirate essenzialmente a principi sanitari e di igiene. Non va escluso in toto.

Anche se la maggior parte degli studiosi oggi non concorda con questa chiave di lettura esclusiva che, posta in questi termini, è infatti riduttiva.

La verità è però che, al di là della regola che impone di consumare ruminanti che abbiano lo zoccolo fesso e non quelli che non lo hanno (suini ed equini per esempio), il kasher vieta per esempio tutti i tipi di insetti tranne, mi sembra, un solo genere di locusta. Così i roditori, gli uccelli predatori, quelli notturni in modo specifico; gli animali che si cibano di carcasse e così via.

Al di là di tutto, un richiamo alla sicurezza alimentare/purezza ed igiene si può intravvederlo. Così come allo stesso modo il kasherut impone il divieto di cibarsi di rettili e di alcuni tipi di pesci. Ecco perché l’attualità mi aveva condotto in argomento. Con tutti i distinguo e le prudenze del caso. E delle conclusioni parziali e affrettate.  

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