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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


NATANAELE O DELL'ESSERE RICONOSCIUTI (il che è di ogni amore degno di questo nome ...)

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 24 Agosto 2017, 16:23pm

Tags: #Lo spirito del viaggio

NATANAELE O DELL'ESSERE RICONOSCIUTI (il che è di ogni amore degno di questo nome ...)

Sinceramente, provo molta simpatia per Natanaele, quello tra gli apostoli passato alla “nostra storia” col nome di Bartolomeo. Si racconta che, dopo il giorno di Pentecoste, questi – come altri, altrove - sia giunto fin nella penisola indiana, per diffondere il Nome.

Il più intrepido, se così fosse …

Dico “simpatia”, ad ogni modo, non tanto perché conquistato dal resto della storia, quella dell’intrepido evangelizzatore, ma perché trovo che simpatizzare per lui (sun - pathos) venga molto spontaneo a molti, oggi più che mai.

Viene “trovato” (?) dunque da Andrea che gli fa “vieni, abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i profeti …” Viene dunque sorpreso, immagino, mentre si trova sotto il suo albero di fichi …

Ognuno di noi sembra averne uno suo - seguitemi bene! -  sotto la cui ombra ci si ferma a riposarsi. I Padri della Chiesa anzi, quell’albero lo indicano come “l’albero che ci fa ombra”. Si tratta delle nostre sicurezze, è la Legge di Mosè; si tratta delle cose che diamo per certe e che ci rassicurano; che ci danno sollievo, ci fanno fermare, ci fanno vedere fino ad un certo punto; e che pure non ci fanno vedere molto oltre (cfr. fare ombra e adombrare) .

Per la Patristica, per il fico (ricorre altre volte nell’AT, come tanti altri alberi, il terebinto, i cedri del Libano etc. ), di questo si tratta.

Ora, colui che riposa “all’ombra di tutto ciò” e della verità piena che ancora non si è veduta all’orizzonte, è senz’altro un uomo che ha di certo a cuore la conoscenza e la giustizia, l’onestà e qui anche la tradizione e la religione dei padri.

Non è detto che riposarci troppo a lungo non porti alla pigrizia, però. Si rischia di smettere di cercare. Ciò nonostante, nessuno dubiterà della buona fede di quell’uomo. Ecco un uomo giusto e pio, “un israelita in cui non è falsità”, gli dirà non a caso Gesù nello stesso passo di Giovanni.

Sono certo che anche se su quell’albero fossero stati i discorsi della filosofia piuttosto che la Legge mosaica; quelli dei valori civili o della solidarietà; al Cristo di Nazareth sarebbero venute da dire le stesse parole. Molti uomini non conoscono falsità infatti, sono integri, pur standosene nel proprio orto a godersi i frutti del proprio lavoro, cioè fin dove sono arrivati e, stanchi, si son fermati a guardare il lavoro compiuto e a rimettersi dalla fatica.

Credo che per molti, avvenga e sia avvenuto così.

Che si venga sorpresi ad un tratto, da Uno che ti dice: “io ti conosco fin da quando te ne stavi lì sotto”. Sorprendersi (“E tu come fai a conoscermi?”; o “Signore, tu mi scruti e mi conosci”, come nel salmo 138, perché qui “conoscersi” è davvero essere scrutati, conosciuti fino in fondo all’anima ed alla sede dei desideri e dei sogni) - viene da sé.

Già! Tu come fai a conoscermi, tu che peraltro vieni su dal nulla. Mi sorprendi, tu che sei di … di Nazareth, già! Falegnami, gente comune e via discorrendo? Non voglio banalizzare, però.

L’incontro col Cristo spesso presenta questo carattere di riconoscimento e trovo che oltretutto si tratti di un riconoscimento reciproco. Uno riconosce l’altro, quello dell’albero di fichi. L’altro riconosce quello che sognava e aveva immaginato stando là, il frutto della sua fatica, ben più dell’ombra di un bell’albero frondoso.

Perciò riflettevo su come, oltre alla naturale simpatia che mi ispira, Natanaele sembri davvero essere della medesima genia del vecchio Simeone, tra gli altri.

Anche lui (e loro) stava là  …

Ora, io non so dove si sia ciascuno di voi; o dove ci si sia trovati al momento di un eventuale incontro, e però potrei dire di me. E quel che mi piace ricordare è che me ne stavo là.

Ci sono un altro paio di cose su cui mi viene di conseguenza da riflettere. La prima è che è necessario e bene restare per così dire in attesa ed aperti a che qualcuno ti venga a chiamare. Le chiusure non portano da nessuna parte. Al più conciliano un sereno riposo.

La seconda è che, perché questo avvenga, occorre che ci sia sempre un qualche Filippo che ti venga a dire “vieni a vedere chi ho incontrato!”. Beninteso: non di rado si rischia il falso allarme e che ti venga spacciato per quello che aspettavi, uno che vende talismani e creme per l’eterna giovinezza, maghi e fattucchiere.

Ciò nonostante se uno sa dirti “ti conosco” e riconosci che tanto risponde a verità, ma davvero, puoi fidarti: il tempo dell’attesa si è fatto breve. All’ombra del fico è spuntato un po’ di sole. E non puoi che sentirtene rinfrancato e lieto. Se non altro perché l’attesa stavolta non è stata vana.

Vorrei dire e raccontare di più. Se potessi trasmettere la sorpresa e l’incanto di questa cosa! Ma forse è più giusto che ciascuno si gusti del suo.

Che ciascuno si chieda e faccia memoria, se mai gli fosse capitato di sentir dire “tu sei … ed io ti ho sempre conosciuto”. E controfirmare ogni cosa: “sì è proprio così. Chissà mai chi potrai essere tu per saperlo così bene”.

A volte queste cose ti portano fino in India e comunque lontano, lontano … Il che somiglia molto ad ogni storia d’amore degna di questo nome.  








 

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