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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


FINO ALLA FINE IL SILENZIO - LUCIA DA NARNI - IV parte

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 19 Giugno 2017, 08:35am

Tags: #la storia

FINO ALLA FINE IL SILENZIO - LUCIA DA NARNI - IV parte

Ercole (d'Este) quindi ha messo in campo uno stuolo di notabili, come si anticipava, pur di “assicurarsi” i benefici di Lucia in quel di Ferrara: i cardinali Ippolito d’Este, arcivescovo in Milano; Ascanio Sforza; i vescovi di Castro, Rovigo, Viterbo, il Capitano degli Alabardieri, Alessandro Fiorani, “il quale con un gruppo di armati è rimasto accampato presso Orte per due anni circa”. E poi lo zio della Beata, Antonio Mei; il segretario particolare di Alessandro VI, Mons. Filino Sandei,ferrarese, il quale si distingue per efficienza e pragmatismo, tanto che sarà proprio questi a convincere il Podestà di Viterbo a lasciar partire Lucia dentro una grande cesta sovraccarica di biancheria. Arriverà dopo un giro lunghissimo a Ferrara il 7 di maggio del 1499. Lucia ha appena ventitre anni.         

Quello che segue può somigliare a tutta prima all’intreccio di un romanzo da “Rocambole”, una storia avventurosa e da romanzo d’appendice …

Vi giunse dunque, in Ferrara – come annotano le fonti  – insieme a sua madre Gentilina, vedova; a suor Orsola, dello stesso Ordine delle Terziarie, sua cugina, e che sopravvisse però solo tre giorni al rocambolesco viaggio, in giro per il Centro Italia per sfuggire alle ire dei Viterbesi (non di Pietro, che frattanto nel ’98 l’ha incontrata per un’ultima volta e di poi si è fatto a sua volta, frate Minore); e scortata infine dal suo padre confessore, fra Cristoforo da Viterbo.

Accolta con onori dal duca – come riportano gli archivi ferraresi -  la prima dimora in Ferrara fu la Cabbianca (Ca’ Bianca), in attesa che giungesse l’approvazione pontificia per la fondazione del nuovo monastero, cosa che puntualmente avvenne il 29 settembre 1499 (Bolla Pontificia di Fondazione).

Presero i voti di Terziarie “sedici secolari” e sua madre Gentilina, col nome di suor Anna, la quale “in esso habito, morì santamente”.

Lucia ne fu eletta priora, mentre la prima pietra del nuovo monastero che naturalmente sarebbe stato intitolato a Santa Caterina da Siena, viene posta il 2 di giugno dell’anno 1499.

Tra le sue collaboratrici fidate, la giovane Beatrice da Ferrara.

Sono gli anni migliori e quelli più documentati quelli a cavallo tra la fine del XV e il principio del XVI secolo, sia per Lucia che per la Signoria che la ospita. Da qui in poi, fatte salve le pur frequenti “convocazioni” per l’ormai consueto e “ciclico” esame della stigmate (le viene imposto persino di fasciarle a lungo e fortemente, perché non siano viste e perché se ne verifichi la reazione e l’eventuale cicatrizzazione, cosa che non accade ma che le procura dolori fortissimi, come dichiarerà più tardi qualcuna delle consorelle “fedeli”), gli atti registrano visioni, profezie, fatti straordinari vissuti da Lucia che, se da un lato ne accrescono il prestigio, dall’altro alimentano nondimeno i sospetti e le invidie. Che cresceranno a partire da quell’improvvida decisione del duca di mettere assieme le Terziarie di Lucia (66 o 72 secondo le fonti) e dodici monache che provengono dal I Ordine Femminile Domenicano (e che per questo vantano una condizione per così dire superiore - 9 settembre 1503) e che fino ad allora avevano vissuto in altro Monastero, dedicato a santa Caterina di Alessandria, la martire.

La verità è che Ercole d’Este aveva espressamente dichiarato la sua ambizione tutta mondana di metter su una struttura di cento e più monache.

Fino a che Lucia, di fronte a tanta contestazione ed insubordinazione interna al monastero, né solo a quello, non rinuncerà ufficialmente al suo mandato di Priora (settembre 1503). Rinuncia con esso a tutti i benefici e i privilegi che le erano stati accordati da papa Alessandro VI (perenne discrezione in merito alle sorti del Monastero da lei e da Ercole d’Este fondato; permesso di uscire di clausura per assistere malati e bisognosi), con tutte le imposizioni dettate da Fr. Onofrio di Parma, O.P, Vicario Generale della Congregazione Lombarda; mentre il suo confessore, Fr. Benedetto di Mantova, dovrà recarsi in monastero, per amministrarle il sacramento della riconciliazione. Al suo posto, per volontà e diretto intervento dello stesso Vicario dei Domenicani della Provincia di Lombardia, subentra l’ambiziosa Maria di Parma.

Di lì a poco, non prima che le venga imposto un nuovo processo intentato dall’Inquisitore della Bassa Baviera e alla presenza di Ercole d’Este e della nuova duchessa, donna Lucrezia Borgia, novella sposa di Alfonso d’Este che di Ercole che di lì a poco tempo sarà il suo successore alla guida del Ducato di Ferrara, si pone dunque la scomparsa del vecchio duca, il che per Lucia avrebbe significato perdere la sua tutela ed il rispetto che questi le aveva sempre accordato (1505).

In realtà, Lucia probabilmente già doveva presagire quale sarebbe stato l’evolversi della sua vicenda, in quanto già durante il viaggio che l’avrebbe portata a Ferrara, ella raccontò di aver avuto la visione di una croce sanguigna che l’avrebbe accompagnata lungo tutto il viaggio. Quella croce sarebbe stata interpretata poi come il segno della vicenda sanguinosa che l’avrebbe seguita da qui alla fine.

Allo stesso modo, F. Domenico Ponsi, nel suo capitolo intitolato “Visioni di suor Lucia” capitolo XIX della sua “Vita di Lucia di Narni”, ricorda tra le altre quella in cui santa Caterina l’avrebbe condotta fino al Trono di Dio. Qui ella l’avrebbe presentata al trono, e in esso sarebbe stato evidente il segno della “sua vita crocifissa” in terra, così “coronata”, come Lucia aveva chiesto, fino ad ottenere il segno delle stimmate (e della discordia, ndr.) che tanto le sarebbe costato in termini di incomprensioni e anche di solitudine e persecuzioni.

Lucia, sin dai tempi di Viterbo si narra che godesse del resto di frequenti visioni della Madonna con il Bambino al petto. Ne sono riportate in numero considerevole. Di come san Domenico le fornisse elementi per il buon governo delle religiose (Ponsi, par. 131). Che san Vincenzo Ferreri, anch’egli domenicano, di contro la persuase a moderare i rigori che le danneggiavano la salute (Lucia portava ancora quella catena e cilici sulla carne, per la disciplina).

Quando Antonio Maria Sanseverino, fratello del cardinale, si ammalò gravemente ed inviò Cesare Boccadelio per incontrare Lucia, ella lo avrebbe nondimeno prevenuto dicendo “so cosa volete. Dite al signor Cardinale che suo fratello non muore di questo male”. Così ad Ercole d’Este che le recava un dono prezioso: “So che portate una bella reliquia di san Pietro martire”.

E dopo che l’ostracismo e l’ostilità della nuova superiora, Maria di Parma, ha già iniziato a fare il suo corso, tanto che ha fatto reiterare la professione dei voti a tutte le monache del monastero (1503)e ha loro cambiato d’abito, quasi che quelli pronunciati, essendo Lucia priora, siano d’ora innanzi invalidati; mentre prega con fervore perché le si chiudano le piaghe più visibili, quelle dei piedi e delle mani, perché non diano fastidio ad alcuno, mantenendo però nascosta agli occhi altrui e a quelli indiscreti quella sul costato che infatti rimase aperta fino alla morte; anche allora le sarebbe apparsa nondimeno santa Caterina e la sorella Cristina “Queste suore – le dicono – vogliono morta la mia figlia e io la voglio viva: su, via, serviamolo”.

San Giacomo Maggiore e Giovanni Battista al Tribunale di Dio, con Gesù e Maria in trono e tutt’intorno angeli e santi e Caterina, vergine domenicana le mostreranno in un’altra visione una sedia vuota. “Quella è per te” – le dicono. Ma la via insomma era quella segnata.

Di molte altre vicende “arcane” si racconta – è ovvio. Come per una febbre altissima dovuta al sanguinamento delle piaghe, ancora una volta santa Caterina le sarebbe stata vicina per servirla in quanto le sarebbe occorso. O di un’apparizione della stessa, a rassicurare la futura Beata che si doleva di dover trascurare l’Ufficio per i suoi impegni di priora “queste valgono più delle tue devozioni” – la risposta secca della santa senese.

O infine di una vicenda in realtà di rado riportata che qui riproduco per intero (Vita di Caterina da Raconisio, Beata): “Desiderando la Beata Caterina da Raconisio, Terra di Piamonte e monaca dei gran santità dell’istesso Ordine Domenicano in un Monastero di Caramagna, terra della medesima Provincia, di vedere la Beata Lucia, havendo havuto per rivelazione quanto fusse accetta a Dio, dopo aver fatto molte orazioni a Dio, che le facesse grazia di poter una volta ragionare con lei; e fu una sera al tardi portata dagli Angeli in Ferrara e posta nella camera della Beata Lucia, stette seco tutta quella notte in dolcissimi colloqui e ambedue rimasero consolate: la mattina fu la Beata Caterina riportata dagli Angeli in Caramagna”.

Così pertanto a proposito di quella donna di cui il cardinale Ippolito I d’Este, figlio del duca Ercole I e arcivescovo di Milano (24 luglio 1501) scrive “cardine della fede ortodossa, rende noto a tutti i veri cultori della Croce di Cristo, di avere veduto e scrutato con sottile esame le piaghe che nessun artificio umano può produrre. Ogni venerdì ne sgorga sangue vivo e profumato, mentre le piaghe sono da lungo tempo preservate dal putrefarsi”. Il che però non basterà.

Il 25 gennaio 1505 – come anticipavamo - muore Ercole I d’Este, dunque. E un mese dopo comincia il silenzio totale su Lucia di Narni. Dal 20 febbraio di quell’anno al 15 novembre del 1544 ella vive appartata segregata rimossa. Pare senza una parola e neppure una protesta. Soprattutto controllata e guardata con grande sospetto anche all’interno del suo monastero.

“Essendo vissuta la Beata Lucia 38 anni in tali persecuzioni e travagli con ammiranda patientia et umiltà e ritrovandosi di anni 68, il Suo celeste Sposo volle chiamarla a sé” – concludono i biografi.

Sei mesi prima avrebbe avuto in visione la Vergine e i santi che le erano cari e che l’avrebbero preparata alla sua dipartita, alla sua liberazione; e che le chiesero se volesse che per qualcuno in particolare si pregasse per liberarlo dal Purgatorio. E lei, tra gli altri avrebbe indicato il vecchio Ercole d’Este. E così otto giorni prima, quando alle sue consorelle chiese scusa se qualche suo comportamento le avesse infastidite ed offese. Poi se ne sarebbe andata sospirando “su al cielo, su al cielo”. (Gli ultimi episodi non sono riportati però nell’autobiografia scritta dalla beata Broccadelli, in quanto questa sarebbe stata conclusa otto mesi prima della sua scomparsa. Il testo autografo è andato perduto ndr.).

Le sorelle a quel punto rividero la piaga del costato che avevano voluto controllare personalmente; così come riapparve al dito quell’anello misterioso che ella diceva le avesse regalato Nostro Signore.

Il corpo fu esposto tre giorni con un grande accorrere di gente ed un gran numero di eventi che si direbbero prodigiosi.

Poi il corpo di lei viene deposto nella Chiesa interna del Monastero presso il coro (“il sacro corpo di Lucia fu sepolto appresso l’altare Maggiore” – Jacovilli); ma, “adì 27 di agosto del 1548, tre anni e nove mesi dopo la sua morte, fu discoperto il deposito” o come è riportato altrove (Ponsi) “il corpo viene cavato da sotterra alla presenza del padre Provinciale della Lombardia dei Domenicani”. Così, le spoglie della beata, pur sepolte in un luogo umido, si presentano pressoché intatte, con una piaga ancora viva e vermiglia ben evidente, brillante (“con certe lacrimette di sangue” – scrivono al tempo) e che mandano un soave profumo.

Sono tanti i miracoli e le mirabilie che vengono ricondotti alla beata Lucia, ante e post mortem: ventitre, essendo ella ancora in vita; e quarantanove, dopo la sua morte. Ne rendono testimonianza i tanti racconti e i tanti casi raccolti: da quello di Giovan Battista Correggiani; al caso di Alessandro di Calegari, tutti riportati con dovizia negli archivi dei santi e beati domenicani.

A cui si aggiunge quel che sarebbe avvenuto a partire dal 1710, quando un arto della beata viene riportato a Narni  (1° giugno 1710) grazie all’impegno del cardinale Giuseppe Sacripanti (qui si accompagna il Breve apostolico di Clemente XI che ne riconosce il culto). Anche in questo tempo, altri  44 i casi straordinari documentati.

Infatti, dopo l’esposizione del corpo della beata “posto in venerazione dei fedeli sopra la grata della Chiesa di s. Caterina in Ferrara; nel 1710 avviene il trasferimento in una cappella ottagonale e, per intervento del cardinale Giuseppe Sacripanti di Narni, si ottiene l’approvazione della Sacra Congregazione dei Riti, confermata da Clemente XI (decreto approvato il 1° marzo 1710) – come si diceva - cui fa seguito quello di Benedetto XIII (5 febbraio 1729) che concede il culto liturgico alle diocesi di Ferrara, Narni Viterbo e all’Ordine dei Predicatori.

Nel 1742 sarà papa Benedetto XIV ad approvare l’orazione liturgica e le letture storiche in onore della Beata Lucia, nelle quali si fa menzione delle stimmate perché “non si può dubitare della loro verità e della loro qualità preternaturale, sia in base agli accertamenti fatti a suo tempo, sia in base alle attestazioni rilasciate da Magistrati ecclesiastici e civili all’epoca della Beata, e che sono contenuti nei processi di beatificazione condotti per autorità del vescovo di Ferrara (card. Machiavelli, nel 1647-48).

E’ quanto “riporta” anche Innocenzo Venchi, in occasione del Convegno di Narni del 1986.

Sarà pertanto lo stesso cardinale Giuseppe Sacripanti a rendere possibile la costruzione, nel Duomo di Narni, di una cappella in cui venerarvi per ora la reliquia della gamba di Lucia ottenuta da Ferrara.

Solo nel 1935, com’è noto, il corpo della Beata viene trasferito definitivamente nel Duomo della sua città natale, mentre la reliquia delle gambe tornerà a Ferrara, dove la venerazione per Lucia è rimasta costante.

Mentre in questo tempo scrivevo e raccoglievo il materiale per riassumere quel che si può riassumere in così poco, della Beata; mi capitava di rileggere un salmo, il 26 e di trovarlo così affine alla vicenda di Lucia, tanto da riportarlo a mo’ di epigrafe.

“Quando mi assalgono i malvagi per divorarmi la carne, sono essi, avversari e nemici, a inciampare e cadere. Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me si scatena una guerra, anche allora ho fiducia. Una cosa ho chiesto al Signore e questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario. Nella sua dimora mi offre riparo nel giorno della sventura. Mi nasconde nel segreto della sua tenda, sopra una roccia mi innalza [….] Non gettarmi in preda ai miei avversari. Contro di me si sono alzati falsi testimoni che spirano violenza. Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”.

Ecco mi è sembrato che rispecchiasse bene la sua storia.

Non so immaginare quel che avrà provato ella recitandolo in coro, all’ultimo posto dov’era relegata. Ma provo a pensarlo.

La prima volta che ho veduto i resti mortali di Lucia, mi è apparso il corpo minuto di una piccola monaca perseguitata. E là, in fondo al Duomo, in Narni, procedendo sulla destra, verso il transetto. E’ dentro una teca, sotto l’altare. Riposa, anche se ancora non la lasciano in pace.

 

 

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