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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Materia per altre Macondo

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 22 Novembre 2020, 06:52am

Tags: #unica, #recensioni

(composizione di Norberto Proietti, il pittore di Spello)

(composizione di Norberto Proietti, il pittore di Spello)

Occorrerebbe un narratore tipo Gabriel Garcia Marquez, forse, per far fruttare le mie letture di questi giorni. Anzi mi chiedo perché questo non sia già avvenuto, visto tutto il patrimonio immaginifico e fantasioso della nostra tradizione popolare religiosa. Se a Marquez ed al Sudamerica in genere, molto si deve in quanto a reportage narrativo in fatto di sincretismo e di mescolanza tra paganesimo e cristianesimo, tra cultura india, afro-americana e pietà popolare dei colonizzatori; la traccia dei pagi e del substrato pre-cristiano da noi, o celtico e nordico ad altre latitudini, non è meno articolata intrecciata al suo interno né meno affascinante. Fin qui ci siamo limitati invece, al ciclo spesso relegato alla sola “letteratura per ragazzi” delle saghe celtiche e vichinghe, sull’epopea contraddittoria di Crociati e Ordini cavallereschi; o a quelle nibelungiche e più ancora spurie e fantastiche, cioè improprie, intendo dire cioè “di genere”. Per non dire delle ricerche del Graal, dei romanzi d’ambiente (in fondo lo era in qualche modo anche quello celeberrimo ed ambizioso di Eco); dei seriali sui Templari e così, via discorrendo. Le pagine che sto leggendo invece, pur non essendo le prime sull’argomento che mi capitino sotto mano, spalancano una volta di più un mondo inesplorato (e sottovalutato) dal punto di vista narrativo, dai risvolti romanzeschi, fantastici, persino esotici.

Dal punto di vista letterario e “di genere” non mancherebbe in essi l’aspetto del mistero, del paranormale, che è esorbitante. Non quello del romanzo corale, dell’epopea, del giallo, del dramma psicologico. Perché si tratta di vite comuni e di stratificazioni, di incroci tra dottrina e conoscenza laica e teologica (non mancano dotte e studiose di filosofia e di scienze naturali); tra semplicità credulità popolare e ignoranza, ingenuità, pregiudizio; tra lucidità di analisi e di pensiero e superstizione; dalla devozione al feticismo (in fondo la fede nella reliquia, qualsiasi essa sia, le somiglia assai). E all’interno di quel microcosmo poi,  tutta la gamma dell’umanità, per quanto permeata e filtrata, condizionata dalle norme del vivere comune, Regulae e convenzioni, secondo “rimasticato e riletto evangelo”. Da cui affetti e livore; contrapposizione personale individualismo e retorica del bene comune; ma anche generosità e solidarietà, amore e premurosità, corruccio rassegnazione, eccessi, ascesi, estasi e pignoleria; bigottismo, ed insieme affidamento totale; comprensione o invece inappellabile condanna per tutto ciò che ne è fuori, che mette in discussione.

Da giovani, le donne delle mie storie di questi giorni sono ora entusiaste energiche, volitive, capaci anche di sfida e di prese in carico o prese di posizione; da vecchie, si trovano nelle mani delle altre, sono loro affidate. Sono bisbetiche e insopportabili, o invece amabili come certe nonne, piene di raccomandazione, di lezioni, di ricordi, di credenze false e rigidità della canizie. Sono le memoria di quella casa e raccontano ciò che è stato; di chi è passato tra quelle mura. Si fanno portare a braccio in coro e c’è chi lo fa ingiuriando, chi invece con dedizione. Si recano al refettorio con fatica. Si addormentano durante la preghiera; e di notte le senti ripetere le proprie orazioni (altre solo lamentarsi o russare). Al termine finiscono spesso in un letto, inferme, a farsi accudire. Non da figli, non da nipoti. A volte da chi ha preso l’impegno di amare. Altre, da chi proprio non ci riesce. E del resto così è la vita per tutti.

Tutte le loro pratiche, quelle in cui mi trovo adesso a navigare, le piccole infantili devozioni, diavolerie e affidamenti al coro di arcangeli e angeli custodi; con un abitino della Madonna sotto la maglia di lana; una medaglietta nascosta in seno; l’acquasantiera riempita ogni mattina; il crocifisso con cui si fermano anche a parlare (le migliori, credo) e a benedire; l’acqua santa bagnata passato sul costato. E poi i giacigli e le piccole grandi penitenze (dormirne fuori per un lasso di tempo). La fiducia nell’intercessione.

Infine i tanti pregiudizi, le incomprensioni per quel che accade fuori (non sempre), con le preci, le formule, le giaculatorie che raccomandano; le novene, le candele, le confessioni, le sante comunioni, il silenzio dopo averle ricevute; la meditazione, l’adorazione e persino le ore trascorse a pregare a guardare, magari distrutte e pure assonnate.

Quelle che preparano conserve, dolci e vivande, così come immaginiamo. E quelle che si cibano solo di legumi (anche questo lo sappiamo). Quelle che il venerdì santo e il mercoledì neppure un tozzo di pane.

Ce n’è, ce ne sarebbe per un’altra Macondo, ma forse manca il cantore, manca il narratore, fin qui è mancato. E dire che sono un forziere stupefacente da aprire – meglio di un antico baule - letteratura e vita del tutto insondate, di cui certo abbiamo perso il sapore, se non quello della banalizzazione e del luogo comune. Non mancano le zitelle inacidite e pure le streghe. E poi ci sono eroismi quotidiani che ti fanno commuovere.

Come al solito, ciò che ci risulta intollerabile ci piace di più. Aiuta non a conoscere, ma serve a giudicare: sommariamente, è ovvio.  Il che è molto meno faticoso.

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