Mentre riflettevo sulla centralità del tema in questi mesi ed anche in questi ultimissimi giorni (“quanti saranno gli ammalati che non hanno potuto fare i controlli di routine in questi mesi?”) sparato dunque in prima pagina in modo generoso assai; in mente mi è venuto un gioco di parole “paolino”, se vogliamo, un innocente calembour: “al di sopra di tutto vi sia la sanità”. In Paolo è la carità ovviamente.
Sarebbe di cattivo gusto fare dell’ironia sulla salute e sulla vita propria ed altrui, anche se non c’è giorno che non mi dica quel che sostiene un’ammalata illustre, e soprattutto altro prima di essere ammalata: io non sono (solo?) la mia malattia.
Il che si può sostenere fino a che la malattia ci consente di condurre una esistenza accettabile. Dopodiché a ciascuno le proprie riflessioni e le proprie scelte.
Non si può fare facile ironia per tutti quelli che hanno pagato dazio.
Detto ciò, tra i miei colleghi è invalso l’uso di dragare il fondo di quel che tira – in questo caso l’inevitabile tema ipocondria – e quindi ad ora non passa ora che non si sbatta in prima il tema. Ieri i contagi, domani le profezie e le proiezioni sui prossimi picchi; un altro giorno le conseguenze dei controlli mancati in tempo di pandemia. Tira, e finché tira, come si fa coi pozzi di petrolio e con le miniere, attingiamo a pieni giri.
Perciò al di sopra di tutto vi sia la sanità. Che adesso occupa il primo posto tra le questioni urgenti da affrontare nel ripensamento del sistema Paese. Che è il primo dei settori (fin qui invece trascurati) a cui trasferire risorse, anche umane, mentre tutti i luminari brillano ormai di luce dei riflettori, propria o solo riflessa. Quanto duri, non lo so.
Al di sopra di tutto, avrebbe detto Paolo invece, vi sia la carità, cioè la capacità di amare e di solidarizzare, di entrare in sintonia con gli altri.
Li si ama anche consentendo loro di prendere respiro da un’informazione ansiogena (“responsabile” significa un’altra cosa) e sensazionalistica, allarmistica. Non funziona così.
Alle persone che amiamo in genere non trascuriamo di dire tutta o quasi la verità, anche in tema di salute o se c’è da affrontare un lutto, ma troviamo il modo perché ciò non tolga il respiro di botto e con esso la speranza, il gusto di vivere.
Il problema non è pertanto sottacere, ma ricordare la dignità a cui ha diritto ogni uomo. La cui esistenza non è solo nella bontà del suo quadro clinico, ma, almeno allo stesso modo, nella qualità dei suoi giorni, dei suoi pensieri e delle sue illusioni. Al di sopra di tutto la carità, cioè il rispetto, non l’angoscia.
Ogni giorno ha già la sua pena.