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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Sarabanda di un numero sacro

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 15 Febbraio 2020, 12:04pm

Tags: #unica

Sarabanda di un numero sacro

Nelle molteplici e ripetute letture dei testi sacri della tradizione giudaico-cristiana non si può fare a meno – neanche a voler chiudere entrambi gli occhi – del continuo ricorso ad una numerologia simbolica su cui già molti studiosi si sono spesi con risultati perlopiù apprezzabili, anche se non di rado forzati. Stamattina mi ci ritrovo immerso pienamente. Giacobbe descrive i caratteri dei dodici figli e delle dodici tribù di Israele, e lo fa riassumendo caratteristiche generiche ed essenziali, emblematiche, proverbiali. E lo fa un attimo prima di morire, quando “ritira i piedi sul letto e ritorna coi padri che lo hanno preceduto”, laddove mi suonava sinistra sgradevole e terribilmente realistica l’immagine della contrazione della morte, il rigor mortis, da cui l’idea del rattrappirsi e dell’irrigidirsi.

Non è il caso mi sembra di soffermarci più di tanto sull’idea persistente del dodici che peraltro ritorna ossessivamente nel numero degli apostoli scelti da Gesù e nelle ceste (sempre stamani, leggendo nda.) che restano di quel che era distribuito (Vangelo di Marco) alla folla che aveva ascoltato il rabbì, venuta da molto lontano.

Questa sottolineatura del venire da lontano mi suggeriva per inciso un’altra riflessione che avrebbe bisogno di ben altro spazio per essere sviluppata. “Dovete aver pietà e dar da mangiare a chi viene da lontano” non è solo un’indicazione geografica. E’ ciò che indica la necessità di accogliere e di prendersi cura delle persone, da qualsiasi storia e situazione esistenziale provengano. Mi guardo le chiese e le parrocchie, cioè costruite nei pressi delle case come dice l’etimologia del termine e mi chiedo se è a questa funzione che assolvono. Ma era un inciso.

Dodici dunque le ceste e altre volte, così come il sette, che è uguale simbolo di pienezza in quanto corrisponde alla simbologia della creazione. Due come la relazione esclusiva, con un Tu (lo si dice anche per noi/Dio). Tre che richiama alla relazione trinitaria e a dimensioni verticali ed orizzontali dell’esistere; il sei e il tre volte sei, l’imperfetto ed il fallace, l’ingannatore; l’8 più o meno infinito, se coricato.

E poi i numeri, miriadi e migliaia; 144.000 dei salvati dell’Apocalisse, gli anni leggendari ed infiniti dei patriarchi; il numero dei figli e delle mogli dei Padri; 33 quelli della vita del Figlio dell’Uomo; gli anni dell’esilio, settanta e così via; gli anni del regno dei re di Giuda e di Israele.

Il numero ed il tempo sono un’ossessione di questa letteratura pur puntando scopertamente all’infinito. Lo è il numero dei ladroni, il numero dei censiti di Davide e quelli degli eserciti e degli uomini abili alla battaglia; lo é quello dei valorosi di Giuda Maccabeo e quelli che gli resteranno a fianco e saranno scelti per l’impresa, pur restando in numero infinitamente inferiore al nemico (leggasi anche nella storia di Giosuè).

Lo sono infine numeri e simboli denari e monete di tradimenti e pagamenti di dazi dovuti al nemico al tempo della dominazione degli Assiri. E lo è infine di rimando il numero di vani e di colonne, nel Tempio per antonomasia, in Ezechiele, nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza; e poi nei templi cristiani. Così da fare impazzire cabalisti ed improvvisati cultori di storia antica e medievale per ricostruire l’arcano e l’esoterico che vorrebbero leggervi e vedervi.

Persino quando Eco decise a tavolino di costruire il suo romanzo medievale per eccellenza, usando in modo strutturato e studiato tutti gli elementi che ne avrebbero garantito la medievalità e la credibilità storica e di genere; il numero rimase un elemento da immettere in modo strumentale (di più ancora ne Il pendolo di Foucault).

Chi dice sacro – nella nostra tradizione – dice numero, sfinge, perché questo è il simbolo di tutte le cose ed è quello dell’armonia, della misurabilità e del suo contrario, della matematicità e della sua contraddizione, del contenuto e dell’incontenibile.

Al numero ed alla sua tradizione leghiamo cabala e superstizione per lo stesso motivo, come alla quantificazione la sua moltiplicazione prevedibile e insieme miracolosa, come quella dei pani e dei pesci. Come quella delle specie e degli individui, da Noè in poi, coppia per coppia sull’arca, perché il mondo non avesse fine, cioè più o meno infinito, un otto coricato su di un fianco, come un Gulliver ed un gigante ubriaco, come un Golia abbattuto da un fulvo ragazzino.

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