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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


L'ombra e la sua materia - Dante e la dottrina dell'anima

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 19 Dicembre 2019, 12:48pm

Tags: #versi

L'ombra e la sua materia - Dante e la dottrina dell'anima

Ombre anime e spettri. Non è di Poe, e neppure di Hawthorne o di Fogazzaro; neppure di Eduardo che intendo parlare. Ma di versi complessi e densi, dottrinali, Dante ovviamente, che prova a dire cosa sia l’anima, e l’ombra; quelle che lui segue ed incontra; che ascolta nel suo andare. Non ho mai trovato spiegazione più ampia, in letteratura, di quel ch’è “anima”. O che pensiamo che sia.

Sì, un po’ Tommaso e più, Alberto Magno soprattutto, i suoi riferimenti (il che ci interessa meno in questo luogo), ma soprattutto il bisogno di spiegare quel che vede nel suo viaggio e crede e spera di vedere davvero; e la sensibilità contraddittoria di coloro i quali incrocia in questo cammino immaginario a metà della sua vita. Bisognava spiegarlo.

E allora (canto XXV del Purgatorio, vv. 91-99) ecco germogliare il paragone dell’“aere” pregno di umidità, che col sole prende tutti i colori dell’iride, riflettendoli. Così allo stesso modo, l’aria che è intorno all’anima si dispone ad assumere quella figura che il corpo possedeva, perché il corpo è l’espressione di quel che era in potenza nell’anima ed è quindi il colore di quel che è pensiero e spirto, forma appunto, materializzazione, per quanto di materia spirituale.

“Però che quindi ha poscia sia paruta, è chiamata ombra; e quindi organa poi ciascun sentire infino alla veduta” (ibidem, vv 100-102). Una volta che si fa ombra, si fa dunque anche sentire e visione. Il che spiega perché quelle anime incontrate dimagriscano si consumino o il suo contrario, come un corpo vero e proprio. Perché piangano, parlino e ridano e sospirino.

Sono cioè una materia nuova di quella medesima anima/potenza. Non so che idea vi siate fatti delle ombre, sin da quelle virgiliane di Anchise e degli antenati che compaiono sbiaditi, nell’Ade. Le stesse stampe che accompagnano i passi, virgiliani e danteschi, rigorosamente e necessariamente in bianco e nero, in punta di china, sono volutamente sbiadite ed evanescenti, addirittura in dissolvenza.

Anche se l’ombra, per Dante poeta e credente non si dissolve se non perché si debba consumare, per un tratto, nel rimpianto, nell’amore, nel desiderio e nella frustrazione. Senza mai finire del tutto però: come l’araba fenice. Così che quella consunzione non sarà mai per sempre, perché potente come il fuoco (e la morte) è l’amore (Cantico dei Cantici) e così tutti gli altri sentimenti. Chè anzi il fuoco è proprio uno dei simboli usati più di frequente per descrivere dell’anima la natura: “somigliante poi a la fiammella che segue il foco là ‘vunque si muta, segue lo spirto sua forma novella”.

Il fuoco che è poi spirito ed immateria che ritorna di continuo nell’immaginario del poeta e di noialtri, parlando di altrove e d’altro mondo, e non solo come ciò che incute terrore e distruzione.

C’è invece un fuoco, come quello del roveto veduto da Mosè, che non consuma, che sopravvive e che trasforma. Ed è forse a quello che rassomiglio lo spirito l’anima e il suo cuore. Per l’eternità per sempre brucia, di quel che ha sempre bruciato. A volte inferno, a volte caritate.  

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