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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


i giovani i vecchi la paura

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 1 Novembre 2019, 18:07pm

Tags: #la dichiarazione, #la storia

Binario 21

Binario 21

I giovani, i giovani e ancora i giovani. C’è sempre stata molta retorica sul tema. Non si fa altro che dire, propagandisticamente, “pensiamo ai giovani” o “cosa facciamo per i giovani?”. E si aggiunge che questo non sia più – ammesso che lo sia mai stato – un Paese per giovani (forse non lo è neppure per quelli che ragazzi non sono più). E per finire, che gli anziani hanno più risorse e più tutele di loro.

Giorni fa si apre il dibattito sul nulla “togliamo il voto agli anziani”, perché questi sarebbero conservatori ed attanagliati dalla paura; avrebbero il respiro corto e non guarderebbero al futuro, visto che di futuro ne hanno poco e quindi neppure spendono e neanche investono, ma solo risparmiano quel che pensano possa bastare loro per vivere quanto gli resta.

Un dibattito sul nulla, con chi paventava il rischio incombente di una recidiva guerra tra generazioni. Persino la tanto discussa quota cento di questi giorni nasce dalla stessa logica perversa: se li mandiamo via, subentrano quelli con meno anni sul groppone. Non funziona così, non automaticamente.

Ora, definire quando si diventi anziani, o come si faccia a comprendere chi e quando lo sia, è materia talmente scivolosa e farraginosa che non mi sembra il caso di spenderci più di una parola. Di vecchi giovanissimi ne conosciamo sicuramente tutti ed allo stesso modo, di giovani vecchi, cioè senza slanci e prospettive, almeno altrettanto.

Mentre un giovanilismo un po’ superficiale continuerà a suggerirci che giovani saremo sempre. Che lo si è fino alla fine. Basta la salute. E pure l’atteggiamento e l’abbigliamento. Giovanilistico, appunto.

A tal proposito, metterei in evidenza invece quanto si legge quest’oggi in una intervista pubblicata da un quotidiano nazionale: “che ad una certa età si sarebbe vissuto abbastanza per non dover avere il timore di rivedere in vita ciò che mai avremmo voluto e pensato di rivedere”. E mi si scuserà se l’affermazione è stata fatta dalla senatrice Liliana Segre, a Repubblica, a commento di quel che già abbiamo commentato: l’astensione scandalosa a cui si è assistita nei giorni passati in Parlamento in tema di commissione anti-haters e antirazzismo.

Si è trattato nel complesso di parole – e non solo quelle che ho riportato – che commuovono. Perché al termine di una vita, pensare di poter rivivere ciò che è stato lo spettro (non solo) del nostro passato; e pensare di essersi spesi invano perché tale restasse, deve costituire una sensazione terribile, frustrante, una grande sconfitta.

Aggiungerei che ogni uomo ed ogni donna capaci di coltivare un grande ideale rischiano di giungere a fine corsa, a queste conclusioni. Purtroppo. Che somigliano molto ad un fallimento.

A cosa sarà mai servita la mia vita, la mia giovinezza, cioè la mia energia, se tutto ciò per cui ho lottato non si è realizzato, se il peggio non è stato debellato?

E’ il rischio di chiunque si trovi a fare un resoconto: con sé e con la propria parabola esistenziale.

Che sarebbe un’operazione non esclusiva di coloro che diciamo anziani, ma necessaria per ogni ciclo della nostra esistenza: si tirano le somme di tanto in tanto, anche per sapere come proseguire. E chi non lo fa, procede al buio, nell’indolenza, alla deriva, per inerzia, come si dice.

Chiunque, a qualunque età, si muovesse o stagnasse in questo modo, potrebbe dirsi vecchio. Mentre non lo è in alcun modo chi all’inerzia pone un freno una sterzata, un atto di ribellione.

Un collega del Corriere della Sera pubblica oggi su Sette l’inchiesta sulle paure più diffuse tra gli italiani: il buio, le malattie, la solitudine, perdere il lavoro.

La paura è un elemento diffuso trasversalmente per ogni fascia di età. E non c’è neppure da provarne vergogna. Mentre è far leva su questa, inocularla, che deve spaventare. È che non vorremmo rivedere da anziani, quel che mai avremmo pensato di dover rivedere.

Col timore di non avere più la forza la voglia, la convinzione per metterci ancora a guidare contromano. Gettare la spugna e dire “ci hanno vinti”; “la vita … ci ha piegato”.       

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