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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Io che non prego mai davanti a un Raffaello

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 22 Ottobre 2019, 17:39pm

Tags: #recensioni

Raffaello Sanzio - La Muta

Raffaello Sanzio - La Muta

Sarà perché a Raffaello Sanzio, cinquecento anni dalla morte nel 2020, non si è mai perdonata una vita di successo e felice, molti appoggi e sostenitori amici altolocati, ad ogni modo la fama dell’artista non è mai stata pari a quella di altri grandi italiani del Rinascimento. O forse è colpa dei suoi imitatori, di quella scuola che si va via via estenuando, fino al manierismo e al formalismo, fino a ciò che vien detto raffaellismo o preraffaellismo. Ad ogni modo i tormenti di Michelangelo non gli appartengono. E neppure la versatilità interdisciplinare di Leonardo che stiamo ancora celebrando. Ora, l’occasione è l’apertura della mostra di Urbino presso il Palazzo Ducale dei Montefeltro, dove si affermato dapprincipio, Raffaello e gli amici di Urbino.  Dicono le le curatrici Silvia Ginzburg e Barbara Agosti: “l’intento è quello di raccontare il fondamentale passaggio avvenuto nella cultura pittorica dell’Italia centrale dal XV al XVI secolo così come lo presenta nelle ‘Vite’ Giorgio Vasari, seguendo i percorsi intrecciati di Raffaello Sanzio e di altri due pittori, anch’essi urbinati di nascita e suoi amici, Timoteo Viti e Girolamo Genga”.

Ed è così in questo scenario che di Raffaello sono stati esposti nove dipinti, tra cui la Madonna Conestabile proveniente da San Pietroburgo, la Madonna Colonna da Berlino, altre due Madonne dalla National Gallery di Londra, e le due opere che fanno parte delle collezioni permanenti della Galleria Nazionale delle Marche, la Santa Caterina di Alessandria e il Ritratto di Gentildonna detto La Muta. A completare,  i molti disegni del Sanzio giunti in prestito a Urbino da musei italiani e stranieri, per “incoraggiare nel pubblico italiano l’apprezzamento per il disegno degli antichi maestri, ancora poco diffuso”.

Ora quello che mi sento di dire, al di là dei motivi seriali, degli angioletti della Madonna Sistina, fino al logo dei jeans di Fiorucci (gli angeli appunto, corrucciati e pensosi in qualche modo decorativi e variamente addobbati) è che semmai è il senso del sacro che non riesco a vedere in questi dipinti. E forse anche questo aiuta a spiegare molte cose.

Come lo è in gran parte del levigato Rinascimento a cui siamo abituati. Del resto con Leone X papa che ne incoraggiò la cura della sua scuola, Raffaello condivide la sensibilità del suo tempo, curiale perlopiù e vagamente mondana.

Non che manchi l’anima insomma, ma che sia nascosta così bene, imperturbata, come dietro il contenersi dell’arte classica e l’idea tutta platonica del bello. E questo indubbiamente c’è estraneo e ci è lontano. Non pregherei mai, per dire, davanti ad un suo quadro. Né mi inginocchierei. Non so se sia quello che accade ai grandi, a tutti.

A lui, mi sembra, senza meno.  

 

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