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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


IL VECCHIO FASCINO DEL POSTO IN CUI NON SONO MAI STATO - ancora del prodigo e dei suoi viaggi -

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 24 Marzo 2018, 07:18am

Tags: #Lo spirito del viaggio

IL VECCHIO FASCINO DEL POSTO IN CUI NON SONO MAI STATO - ancora del prodigo e dei suoi viaggi -

C’è un altro aspetto in merito alla storia di quel figlio che se ne va e poi ritorna, riaccolto, dopo aver speso una fortuna in giro – scusate se ci ritorno ancora, ma ci sto lavorando per il mio teatro – ed è questo. Ci ho appena pensato.

Quel figlio in qualche modo potrebbe non essersene mai andato. Ed il fratello non esserci mai stato. Il primo non è partito perché non so bene che cosa, ma qualcosa era ancora là da dove aveva preso il volo e qualcosa ce lo teneva ancora legato.

E l’altro, preso com’era dal ruolo di quello fedele e dall’interesse ad esserlo, dal disinteresse per la vita se non per il lavoro e il danaro, in nessun posto era mai stato. Neppure a casa con suo padre infatti che si era annoiato e si era visto tra i piedi un estraneo ed un contabile perfetto e straniero, non dico “ostile” perché sarebbe attribuirgli un moto del cuore che evidentemente non poteva essergli attribuito. Lo aveva il cuore?

O era un non uomo dimezzato infatti, un replicante ed una macchina ben oliata a fare senza pensare (sarà in grado di farlo solo alla fine ed è allora che si risveglia dunque l’uomo o la bestia che siamo). O invece era quel che diventiamo, che la vita cambia, anche se vissuto non aveva e quindi neppure poteva esserne stato contaminato.

In quanto al primo, il partito, non è detto che fossero i buoni sentimenti a tenercelo ancora legato. Ché poteva essere invece il rancore ed il risentimento stessi per cui era partito e per cui, allo stesso tempo, non lo aveva fatto mai, mai per intero. Doveva partire e poi ritornare per il gusto di essere abbracciato? O doveva partire invece per ritornare da vincitore? O ancora partiva per curiosità e poi ancora per inebriarsi ed ubriacarsi e per dimenticarsi. Di cosa? Del fatto che a casa non si era mai sentito a casa. E che la casa del padre era un paese in cui non era mai stato, se non da straniero e che come tale lo avevano visto e lui stesso si era veduto e considerato.

Perché si parte per lavorare e si parte per cambiare vita e per dimenticare e superare. E si ritorna o perché si è fallito per qualche verso, o perché non si è dimenticato e non si è superato; o perché tutto è ormai andato. La vita è trascorsa.

Ma allora perché mai ritornare se non per una breve puntata, per rivedere e poi riandare? Perché decidere di restare?

E’ questo il punto che il racconto del Vangelo non dice e che invece sarei curioso di sapere. E’ ripartito? E’ rimasto là a vegliare sul padre, sul suo cadavere o ad aspettare che morisse e che si annoiasse anche del suo stare e del suo raccontare, della sua continua voglia di andare eppure di restare?

Ma i Vangeli – mi si consenta - queste cose non le sanno raccontare, perché è unica la visione che vi sta dietro: c’è uno che sbaglia e c’è uno che perdona. E uno che si consuma per l’invidia. Mentre la vita e gli esseri umani sono molto più di una cosa sola.

Mi ha preso personalmente la voglia ultimamente di viaggiare di nuovo dove sono già andato. Non credo sia per dare l’ultimo commiato alla vita e neppure per rivedere che effetto faccia ciò che avrei vissuto tempo addietro come fanno sovente i vecchi, salvo poi restarne immalinconiti. Ma c’è qualcosa di quel vissuto che evidentemente non ho capito e neppure ho vissuto sufficientemente, come un non dato ed un non detto, un qualcosa di mancato. Non so se ne avrò l’occasione. E ad ogni modo la cerco, perché l’ho cercata e poi l’ho smarrita e voglio vedere cos’è che non ho trovato e che ho dimenticato. Perciò non di rado, con molta tenerezza attraverso la città al buio e al mattino. E così intendo fare ancora per altri luoghi e cose, per risentirne il profumo, l’ebbrezza, l’alito di quella splendida incompiuta lirica che sento di essere stato.

Me ne andavo canticchiando sotto il cielo cupo e gelido l’altra mattina, tra Santa Maria Maggiore e la stazione di Roma Tiburtina. E intonavo  ilare persino una canzonetta “Cielo grigio su, foglie gialle giù, cerco un po’ di blu dove il blu non c’è. Sento tanto freddo, tanto freddo, fuori e dentro me. Sogno California e un giorno la vedrò”.

I Dik Dik erano un gruppo musicale italiano già famoso quando io era un bambino. E la California un mito della generazione prima della mia (anche due). Io non è che senta freddo fuori e dentro di me. E mio padre aveva un sogno comune, condiviso dalla sua generazione …

Perciò credeva che sarei tornato e che gli avrei chiesto scusa. Mentre ero lì per molti altri motivi, uno dei quali quello di raccontare i posti in cui non ero mai stato, mai del tutto, ecco.

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