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cultura e spiritualità


BEATA LUCIA DA NARNI – La Gloria, la fama, la reclusione - I -

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 10 Giugno 2017, 10:34am

Tags: #la storia

BEATA LUCIA DA NARNI – La Gloria, la fama, la reclusione - I -

Hanno intitolato bene E. Ann Matter e Gabriella Zarri il loro lavoro dedicato alla Beata Lucia da Narni (2003). Si tratta infatti esattamente di “Una mistica contestata”. E contrastata.

Anche post mortem, come vedremo.

Appena cinque anni fa, su La Gazzetta di Modena appariva un articolo firmato da Stefano Luppi, Un ritrovamento nell’Archivio di Stato rivela le finte stigmate di suor Lucia. Così il pezzo che racconta

il ritrovamento, all’Archivio di Stato di via Cavour, di un prezioso documento che racconta – anzi ribalta – la vita della beata umbra Lucia Brocadelli da Narni (1476-1544). Lucia era un’umile suora divenuta nota a Narni negli ultimi anni del XV secolo perché più volte aveva ricevuto le stimmate e proprio per questa caratteristica la chiesa cattolica la proclamò beata nel 1710. Il duca Ercole I d’Este a Ferrara – la città che precedette Modena come capitale del Ducato Estense – pensò bene di sfruttare questa caratteristica per attivare una sorta di “marketing territoriale”. Finora la versione ufficiale ha retto: il duca chiese attraverso i buoni uffici del ferrarese vescovo di Lucca Felino Sandei che suor Lucia fosse condotta a Ferrara (avvenne il 7 maggio 1499), dove fu fatta badessa del convento di Santa Caterina da Siena. Oggi questo monastero è scomparso, ma le tracce storiche della suora non si sono certo perdute perché il ricercatore Marco Folin ha rintracciato nell’Archivio modenese un documento dove è scritto che il duca sapeva che le stigmate di suor Lucia erano una finzione, ma nonostante ciò decise di sfruttare l’occasione per richiamare a Ferrara frotte di pellegrini e addirittura si affrettò a spedire in giro per le corti fazzoletti insanguinati che dovevano attestare l’evento miracoloso. Folin a Modena ha ritrovato uno scritto di Sandei in cui il prelato rivela quanto appreso in confessionale, ossia che le stigmate erano ferite ravvivate ogni giorno con il vino per mantenerle aperte. La lettera al duca è del 16 febbraio 1498: “Ho parlato a un frate – scrive al duca, che decise di infischiarsene – che già fui intimo cognitore de tute queste santità e con bono modo li ho fato confessare a me in oculto come queste stigmate sono finte e che è una bagatella e una rete da carlini”. Ossia è una trappola per allocchi. Ma il duca aveva altri fini e fece venire Lucia a Ferrara dentro un cesto da biancheria per affidarle il convento. Il tutto durò sino alla morte del duca nel 1505 e da allora la futura beata fu dimenticata.

Sempre che non si trattasse di calunnie (oltre a qualche “imprecisione” lessicale) . Ma di questo diremo poi …

Insomma, se ancora non risultasse abbastanza chiaro, ancora oggi è quello delle stimmate,  il motivo più eclatante del contendere circa la santità e la buona fede di Lucia. Ed è da questo che partiremo indubbiamente. Dalle stigmate.

Si conterebbero dunque oltre trecento casi di stigmatizzazione documentati, almeno nel quadro classico delle cinque ferite. Si tratta di un fenomeno che sarebbe riscontrabile “solo in individui di religione cattolica”.

E’ quanto veniva rimarcato fin dalla relazione del dottor Paolo Maria Marianeschi, presentata trent’anni fa durante il Convegno di Studi, tenutosi in Narni sulla Beata, (ottobre 1986). Marianeschi si avvaleva di numeri documentati (e ciò nonostante, non meno discussi); nonché delle risultanze di tanta letteratura scientifica che punta da sempre “a fare chiarezza” su quel fenomeno che registra nei punti lesionati “sanguinamento copioso e persistente che continua per anni, presentando delle singolari esacerbazioni periodiche in tempi caratteristici delle feste liturgiche, ricorrenze, particolari giorni della settimana, come il venerdì. Il sangue che fuoriesce dalla stimmate è di tipo umano, è arterioso; è privo di cattivi odori e, in alcune relazioni mediche è stato descritto come profumato”. Così dunque Marianeschi, portando a supporto gli studi condotti tra gli altri da Di Flumeri, sul caso “Padre Pio da Pietrelcina”, uno dei più noti e recenti, con quei “segni” rimasti visibili per cinquant’anni sul corpo di lui. Quel San Pio da Pietrelcina che ha rappresentato il più noto “stigmatizzato” del Novecento, assieme alla mistica Teresa Neumann, vissuta tra il 1898 e il 1966.

A dirla tutta però, se sono trecento ed oltre i casi di stigmatizzazione registrati, molti di meno invero, non più del 20%, quelli riconosciuti “autentici” dagli organi preposti all’esame dalla Chiesa cattolica e passati poi ad alimentare non di rado il numero dei santi e dei beati.

Inutile sottolineare che il capostipite di così singolare e nobile famiglia sarebbe Francesco d’Assisi, “alter Christus” a tutti gli effetti, e – come direbbe Dante – “quasi sol oriens”, tanto che, chi della sua terra volesse dire, “dica Ascesi che direbbe meglio”.

Siano lesioni o ferite che non tendono alla cicatrizzazione e non presentano fenomeni essudativi. Siano piaghe o altro ancora, è questione che rimanda non “solo” all’aspetto patologico (e “dermatologico”), per così dire. Si tratta di aspetti infatti sicuramente interessanti ad ogni modo, come lo è il tentativo portato avanti dalla scienza, da Charbonnier in poi, di comprendere se e come l’organismo umano sia in grado di procurarsi eventualmente queste lesioni. Se esistono delle condizioni psicologiche, psicosomatiche che aiutino a spiegare.

Si parlò per fare un esempio, di casi di “personalità isterica” e di “conversione somatica” per la mistica Teresa Neumann (vd. Relazione del dr. Martini). In ogni caso, si va dalla considerazione della causa isterica a quella ipnotica ed auto-ipnotica, fino alla teoria psicosomatica o dello stress.

Ciò nonostante però, quel che preme sottolineare a questo punto è che, al di là dell’eccezionalità della stigmatizzazione e delle sue conseguenze che in breve vedremo; non è per questo “in special modo” che oggi abbia ancora un senso ricordare Lucia Broccadelli. A mio avviso – dico - l’eccezionalità, paradossalmente, non consiste eminentemente in ciò che al tempo la rese famosa e per un po’ contesa e desiderata, ma di contro sta tutta in quel silenzio “eroico”, protrattosi dopo la gloria e la fama, per ben trentanove anni, come dimenticata, come reclusa, come un’invisibile, senza che questo ne scalfisse la fede e neppure la pazienza, a ben vedere.

Stiamo parlando di quel silenzio oscuro e impenetrabile, un oblio, che durò dall’anno della morte di Ercole I d’Este, duca di Ferrara, che a Ferrara l’aveva fortemente voluta meno di dieci anni prima; fino al transito al cielo – come si dice in gergo – della Beata, avvenuto nell’anno 1544.

Messa sotto chiave, seppellita, impossibilitata a parlare con chiunque, tranne che col suo padre spirituale e anche con lui, neanche troppo né abbastanza liberamente, mentre tutto il resto del mondo le era proibito dietro la clausura e la strettissima sorveglianza di una consorella credibilmente abilitata alla delazione e alla relazione puntuale in merito ad ogni suo colloquio.

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