Cavalcava un cherubino e volava, si librava sulle ali del vento … Non mi è stato subito chiaro quanto mi veniva suggerendo stamani il versetto (salmo 17). E’ tutto incastonato infatti in una strana visione di terra che “tremò e si scosse”, per cui “vacillarono le fondamenta dei monti, si scossero perché egli era adirato”. Così come, emerso dalle viscere della terra, lo strano essere sconosciuto va fremendo come un toro schiumante e come il leviatano: “dalla sue narici saliva il fumo, dalla sua bocca un fuoco divorante; da lui sprizzavano carboni ardenti”.
Chi è quest’essere sconosciuto che mugghia come il terremoto e come gli abissi; si inalbera come un cinghiale e come un toro infuriato; macina fumo e carboni come un incubo di Bosch?
Quest’animale è forse il Golem di Dio, la sua copia, costruito dalle mani di Dio a sua immagine e somiglianza?
Ed insieme è il sommergibile e la talpa sotterranea; poi il dirigibile in mezzo ai cieli, l’astronave e la navetta lanciata dalla spazio. E’ la fantasia terrifica dei primordi e di un mondo arcaico che fa i conti col sacro e con la natura di cui non conosce le leggi: “Abbassò i cieli e discese, una nube oscura sotto i suoi piedi. Cavalcava un cherubino e volava, si librava sulle ali del vento”. Che è quello che ciascuno sogna di poter fare un giorno, sulle ali del vento e di guardare tutto dall’alto, da un’altra prospettiva.
“Si avvolgeva di tenebre come di un velo, di acque oscure e di nubi come di una tenda. Davanti al suo fulgore passarono le nubi, passarono le nubi, con grandine e carboni ardenti”. Poi tuonò dal cielo, L’altissimo fa sentire la sua voce tra grandine e carboni ardenti. Saette fulmini e grida. Si squarciò il fondo del mare. Apparvero le fondamenta del mondo. Ma stese la sua mano e mi prese. Mi sollevò da questo mondo in subbuglio.
E’ un’apocalisse e tutto il linguaggio e il corredo di immagini appartiene a questa tradizione. Il Giovanni che ne scrive quella in chiave cristiana attinge allo stesso immaginario. E a noi resta la stessa presuntuosa pretesa di capire ogni segno, come se ogni segno dovesse essere decriptato e non come se fosse l’insieme a dettare il senso.
Nella bufera in cui diabolico e divino si confondono, a braccetto, cioè nella vita, lui mi prende e mi solleva. Mi solleva su grandine carboni accesi e tempesta e mi fa volare come su di un destriero ariostesco, come su di un Bucefalo in mezzo al cielo. S’infuria mentre tutto si ribella e si imbufalisce e non si comprende se quella ribellione lì in terra e nelle viscere del mondo sia per lui a causa di lui o contro di lui.
Le bufere sono sempre un gran caos. E nient’altro.
Ma devi credere che volerai via. Che uno verrà a portarti via, fantasia, fede e poesia e musica.
Tutto ciò si libra sulle ali del vento, sopra la prosaicità di quelli che schiumano bruttura e rabbia. Così Ezechiele anche, questa mattina (ma è solo un caso la coincidenza temporale): verranno cherubini e mille occhi, serafini accesi e braci ardenti, labbra toccate da un tizzone. Verranno eserciti e cavallette da lontano. Ma poi anche questo finirà. Quando? Direbbe Giovanni tra un tempo, il mezzo di un tempo e un altro ancora. Cioè, non si sa.
Bisogna aver fiducia, volare alto: finirà.
E sulla crosta terrestre sarà solo nubi mobili a galleggiare come nel mare quando si è aperta una voragine ed un vortice e la nave degli Achei è stata risucchiata scomparsa all’orizzonte.