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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


Come un sordo non ascolto - una regola controversa: dai salmi ai padri del deserto alle riflessioni sull'attualità

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 26 Maggio 2020, 11:07am

Tags: #unica, #salmi, #I PADRI

Come un sordo non ascolto - una regola controversa: dai salmi ai padri del deserto alle riflessioni sull'attualità

E’ una strategia che immagino non funzioni e che nessuno psicoterapeuta consiglierebbe oggi, quella di chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie per non vedere e non sentire quanto ci minaccia e ci toglie serenità; quanto rischia concretamente di farlo. Però è quello che si evince e da un testo sacro (“Io come un sordo non ascolto e come un muto non apro la bocca; sono come un uomo che non vuole rispondere” – salmo 37) e dai suggerimenti contenuti in più di una Regola monastica e più precisamente da una Catechesi che stavo leggendo in questi giorni, attribuita al padre della vita cenobitica, Pacomio. Anzi, colgo l’occasione per ringraziare chi ne ha curato l’edizione, la Comunità di Bose, a cui si deve la riedizione di molti di questi testi di settore.

A me interessano per vari motivi, anche storico antropologici; mentre le Regole sono tornate di gran moda in questi anni, nei corsi organizzati per manager d’azienda e Confindustrie varie.

In fondo, anche il richiamo di questi giorni al sentirsi parte di una comunità, ad agire in un’ottica collettiva non è estraneo, tutt’altro, a questo genere di letteratura religiosa.

Nelle pagine di questa catechesi, dovendo affrontare gli incerti della vita comunitaria, in cui non è tutto armonia e pace del Signore, l’arte di chiudere gli occhi, di far finta di non capire, di non rispondere, saper essere un po’ misericordiosi e un po’ muro di gomma, è l’unico antidoto per resistere. Molte cronache antiche provenienti da quegli ambienti ci raccontano di odi e di rancori terribili, di persecuzioni, di condanne, punizioni, persino di espulsioni clamorose da cui non tutti erano in grado di riprendere un cammino equilibrato pacifico e dignitoso. Restava addosso come uno stigma, per capirci.

Pacomio, come altri, invita a portare pazienza, a tollerare, a chiudere gli occhi. Il che può funzionare. Solo che lo stesso abbà, e come lui altre guide spirituali, suggeriscono la medesima strategia anche di fronte ad un nemico molto più infido dell’altro: la propria interiorità, specie quando questa è conflittuale, combattuta, preda del rimpianto e di molti altri malesseri. Anche quando fosse vittima di quello che noi moderni diremmo male di vivere e depressione.

Le conoscenze in questo campo erano nulle ed era chiaro che tutto quel riemergere veniva considerato letteralmente come una macchinazione del maligno, tanto che Pacomio suggerisce di sottoporre i nostri pensieri al vaglio di un’unica domanda: è questo conforme al mio modello di vita cristiana?

Laddove è chiaro, con la saggezza del poi, che le cose sono molto più complicate e che si può anche essere convinti di qualcosa ed allo stesso tempo essere fatalmente attratti dal suo contrario, di vivere la contraddizione di ogni uomo. Per quanto, lasciarsi comodamente andare da questa dicotomia può diventare terribile, lacerante, alienante.

“Tutti quei nemici – come dice il salmo 37 – sono vivi e forti […] mi accusano” e così via.

Quei nemici sono dunque uomini e sono anche se non soprattutto aspetti di me irrisolti, davanti ai quali oggi nessuno ci direbbe di chiudere gli occhi e di far finta di niente.

In qualsiasi modo, a partire da un’analisi lucida di sé, quel male va guardato e riconosciuto.

Ci sono due cose tra le altre che in questi giorni mi hanno colpito a tal proposito: uno è l’esistenza di una tecnica zen di cui sinceramente non riesco a ricordare il nome e che consiste nel pensare intensamente, direi contemplare, quel nostro stato d’animo, fino a starci dentro del tutto. Se ne esce in qualche modo risanati, come sempre quando si esce da qualsiasi tentazione di rimozione, anche se affranti.

L’altra è la riflessione compiuta da molti psicologi e psicoterapeuti in merito agli strascichi del dopo lockdown. Molti di noi sono rimasti soli in questi mesi e mai come adesso si son trovati a dover fare i conti con se stessi, con le nostre storie, con le cose irrisolte e dolenti, spesso nascoste a noi stessi, su cui abbiamo preferito far finta di nulla a lungo, glissare, riuscendoci ottimamente fino a quando abbiamo potuto riempire le nostre giornate di diversivi e di cose da fare.

Molti, anche se non ce lo diciamo, ne sono usciti con una diversa consapevolezza; e qualcuno a pezzi, con vite e compagni, storie e lavori da cambiare, senza contare i tanti per cui il lavoro non c’è più. Lasciando perdere per ora tutti coloro per i quali c’è un lutto materiale ed affettivo da elaborare.

In realtà per tutti coloro dei quali si è detto, il problema è proprio quello dell’elaborazione di un lutto. Terribile ed impossibile fingere che non ci sia. E non è detto che tutto questo non ci porti in qualche modo a risorgere, anche a nascere di nuovo, “nuovi” cioè, in qualche modo più autentici.   

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