ULTIMA CENA - particolare -

Ripenso alle ultime cene, prendendo spunto da quella che lo è rimasta per antonomasia. Si tratta di un esercizio che pratico stamane in auto, che è ancora buio, mentre attraverso la penisola da Nord a Sud. In teoria dovrebbero esserle affini “le ultime volte che …” prima di un abbandono, una separazione un tradimento.

E non è detto che debba essere l’ultimo pasto consumato assieme, dell’ultima brioche al mattino, al bar, per dirsi addio o non riuscire a dirselo invece. E neppure di quella volta che abbiamo fatto a metà del cornetto e del cappuccino, tanto da intingere il boccone nel mio. Insomma, l’analogia va oltre, e da ragazzi, di fatti del genere ne abbiamo collezionati abbastanza. Mi chiedevo se io avessi mai perdonato, me e l’altro, e se fossi in grado ora.

Qualche schiaffo in pieno viso, reale, e qualche insulto lo rinfaccerei volentieri, se solo incontrassi la persona, per dirgli quanto meno che, pur date le attenuanti del caso e dell’età, dei condizionamenti ambientali, vorrei che lo sapesse il segno che ne è rimasto, come chiodi e come piaghe.

Non che odi, ma che insomma vorrei che se ne fosse consapevoli.

In qualche caso questo non sarà possibile, non più. Qualcuno è passato a miglior vita ed altri dispersi, come me, per il mondo.

Non penso alle ultime cene come al luogo del rancore. Ci penso ora come a quelle dello sprofondo più nero.

Di ultime cene ne abbiamo consumate ad ogni ora, di sera e al mattino, tutti. Qui è l’esemplarità di certe esperienze di Nostro Signore. Ti ci riconosci e non è detto che tu abbia sempre dove posare il capo, chino …