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cultura e spiritualità


IL TEMPO CHE NON C'E' - a proposito della fisica secondo Rovelli

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 26 Giugno 2017, 10:14am

Tags: #recensioni

IL TEMPO CHE NON C'E' - a proposito della fisica secondo Rovelli

Se è vero quello che sostengono i fisici e ancor prima qualche filosofo persino un po’ desueto, che il tempo è solo una convenzione; che la percezione che ne abbiamo è totalmente fallace (quando e dove dunque?), la sensazione di avere molto o poco tempo a disposizione, per tutto e per nulla, è del tutto relativa e riguarda esclusivamente la percezione della nostra intelligenza e della nostra psiche, cioè quello che sentiamo e il modo in cui lo decodifichiamo.

L’ultima fatica letteraria di Carlo Rovelli, fisico e professore all’Università di Marsiglia che ha già venduto due milioni di copie per Adelphi con un libro che voleva “solo” offrire alla divulgazione un numero limitato di semplici lezioni di fisica, tenta l’impossibile, da questo punto di vista: convincerci, noi e l’universo mondo, che il tempo è una percezione erronea, come lo è quella di un eventuale spazio rettilineo e geometrico rispetto a quella idea di spazio curvo che ha reso celebre l’inflazionato e ormai volgarizzato pensiero di Einstein.

Ma se il tempo non c’è (e lo sostenevano tra i tanti, persino Agostino e Bergson) resta il modo in cui affastelliamo nozioni e sensazioni (bah!). Tanto che il ricordo o la sua ossessione non sarebbero dunque la pagina da voltare perché tanto c’è un altro giorno (domani non è un altro giorno, come direbbe Rossella); e il giorno è davvero sempre quello (un’illusione?) per cui quel che è stato, resta sempre, cioè è. E insomma i ricordi non si cancellano, non si può chiedere e pretendere di farlo, perché non sono né prima né poi: sono e continuano ad essere e non solo alla nostra coscienza.

Prendiamolo quindi come il giochino dell’estate, questo.

Questi giorni infiniti pertanto, questi giorni senza tramonto mi lasciano senza fiato (molto meglio che le cose si aprano ed eventualmente si chiudano: prima e poi). Così che se dormire come tra un giorno e l’altro crea solo – come dire? - uno spazio curvo e misterioso tra un prima apparente ed un dopo fallace; ecco che dormire e riposare è davvero solo un’altra curva, una altro verso dello spazio vitale ed è davvero solo un’altra dimensione della medesima esistenza.

Che non ha fine?

In realtà, paradossalmente, riflettevo, l’idea di fine non può esistere, laddove non esiste l’idea di tempo in cui si inserisce la sensazione e la convenzione dell’inizio.

Col che, o questo apre all’idea dell’Infinito e persino dell’immortalità. O questo è solo l’espressione di un’apparenza, di un apparente passaggio, avvertito come una fase di transito e di mutazione.

Si ma da cosa? Tutto cambia o tutto è tutto?

E allora se è la percezione che fa la vita, quella che viviamo, e che la rende leggibile, fatta com’è di convenzioni per conoscere e per farsi ri-conoscere, l’idea che il tempo ci sia o non ci sia non cambia l’effetto inevitabile che è quello di avvertire tutto non come l’eterno presente, ma come uno spazio nebuloso e dissolvente fatto di presenza e di assenza, anche di impenetrabili nascondimenti.

Dov’è chi è già stato? E dove quel che abbiamo già vissuto?

E se quel che non ricordiamo è ancora, in qualche modo, è utile pensare che non saperlo dipenda solo dalla categorie del nostro pensiero?

Solo quando (e neppure quando si può dire se il tempo non c’è) le categorie saranno cambiate - ma tali sono da Aristotele a venire su, anche se là è di categorie dell’essere che diciamo non quelle del predicare - potremmo forse accorgerci (sì, ma con quali strumenti e con quali sensi?) che tutto è o è ancora.

Non basta per sentirsi più sicuri. E neppure per dire di saperne di più.

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