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la voce di simeone

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cultura e spiritualità


A CENA COL MOSTRO

Pubblicato da Enzo Maria Cilento - fratel Simeone su 29 Aprile 2017, 11:02am

Tags: #unica

A CENA COL MOSTRO

Metti una sera a cena col mostro, in un posto qualsiasi, e lascialo parlare. Si presenta travestito (viene sempre nell’abito migliore), ma lascialo dire e finirà col tradirsi: è sempre lui. Prende forma a poco a poco per quel che è.

Il mostro non cambia mai (né peli né vizi).

Come nella tradizione ebraico cristiana, esso dev’essere viscido – immagino - squamoso (non petaloso nda.), anche perché, quanto meno è anfibio (sta bene ovunque tu lo metta, in acqua e in terra, tra cose altissime e bieche) e somiglia a quello che dicono il Leviatano.

Trovo che il mostro per antonomasia oggi, il mostro reale, si chiami (anche) burocrazia ed apparato: lo è sempre.

Da una parte c’è la vita e la persona. Dall’altra, il suo contrario, un buco nero e sordo, impersonale, un’eco sinistra.

Se poi di questo mostro facciamo il sistema, il suo contrario non è propriamente l’antipolitica ed il controsistema. Ogni “contro” ne riproduce infatti, come in una foto in negativo, le sue manie. Date il governo ombra e avrà la stessa spartizione di sistema e di potere. Anche questo mette in evidenza i suoi mostri, a ben vedere.

Potrei dire che Orwell gli dedica il più celebre e strumentalizzato dei romanzi. Potrei dire che ve n’è ovunque tu guardi: dovunque ci sia umanità “organizzata”: persino nelle Congreghe di paese e nelle associazioni …

Per non dire nei governi dei Paesi e pur anche nelle Chiese. Ogni chiesa venera i suoi mostri.

Alle regole pertanto corrisponde l’apparato (per farle rispettare?). La regola che si fa Dio e che si fa Democrazia, demagoghi al potere.

L’apparato, come il Leviatan, ha dunque squame e branchie, respiro corto e una voce sola, anzi un tono solo della voce, quella dell’abuso (sfuggente sì, ma pur sempre reale); ed oppone al tuo bisogno di trasparenza, il linguaggio del burocratese e dell’ufficio di competenza, della norma vigente e della legge in vigore (ce ne son troppe in questo Paese!).

Ha il fare dell’Azzeccagarbugli. E usa il latinorum come l’avvocato di cui sopra, o come il curato senza nerbo, don Abbondio.

Gli uomini del Leviatano sono tutti un po’ così.

Impersonali e terribilmente asettici, sono la voce della norma. Hanno metalliche voci e suadenti minacciose argomentazioni che non ammettono repliche se non quelle inutili che si scontrano col “se solo dipendesse da noi”.

Detto ciò, il mostro se anche non lo invitassi mai a cena, si presenterebbe da solo prima o poi, e sottrarsene sembra un’impresa da perdenti e da idealisti isolati.  

In ogni dove, combatterlo ha il sapore di un’impresa impossibile. Il suo gruppo marmoreo sarebbe quello del Laocoonte, mentre le sue spirali ti impediscono di reagire e di respirare.

Il mostro abita qui con noi. 

Detto ciò, viene da sé che ognuno ha il mostro suo con cui fare i conti, anche quello interiore. Io, con la paura del mostro …

I ricordi troppo brutti e quelli troppo belli, edulcorati; le frustrazioni innanzitutto, lo sono.

Leggevo giorni addietro dell’Alzheimer e delle sue probabili concause. Non ci sarebbe da stupirsi di fronte all’ipotesi che esso venga indotto dal bisogno di dimenticare ciò che fa dolore. Ve lo ricordate il De Niro fumatore di oppio nell’America di Sergio Leone?

Si beve per dimenticare, non solo per piacere. O per il piacere di dimenticare. Talora per nostalgia. Ci si assenta in qualche modo, con quel che la natura ci mette a disposizione per cancellare, perché la vita non di rado, e in modo progressivo, è una corona di abbandoni di ogni tipo.

E il sonno ci raccoglie in grembo per dormire. Direbbe il salmo: “In te mi rifugio, Dio. In pace mi corico e subito mi addormento”.

E allora, se Dio stesso è anche questo, non sala d’oppio, ma oblio, a che vale ricordare? Potremmo dire: “Meglio perdonarsi e perdonare” - che è un altro sistema per dimenticare e per cancellare.

Con quanti mostri dobbiamo convivere, in questa terra popolata di apparizioni, in questa galleria dell’orrore?

Eppure i mostri ci fanno svegliare di notte e dimenticare non è così naturale. Né i giorni e le vicende anonime ed inutili terribili vissute. Né quelli dolcissimi che pare non debbano più tornare. “Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo come leone ruggente, va in giro, cercando chi divorare” – scrive Pietro, nella I delle sue lettere.

Quel che ci divora, quel che il diavolo è soprattutto (il mostro, il sonno della ragione, la notte dei mostri e degli spettri, dei morti viventi), è la memoria dunque, e la sua deformazione.

Se l’esperienza insegna, lo fa a costo di terribili proiezioni ed ipotesi raggelanti, spesso inutili, a volte vane, sulla scorta di, e sulla scorta del passato in generale.

Quel che divora e divide è lo spazio tra la vita vissuta e quella sognata, tra la giovinezza del cuore e l’immersione in  apparato. La vita se non è già scritta è quanto meno “apparata” (apparecchiata) dunque, quindi condizionata. E ci divora e ci divide da noi stessi? Forse.

“Resistetegli saldi nella fede” – conclude il buon pescatore di Galilea. La fede in un Dio che ci liberi dalle sovra-strutture del cuore e della società spersonalizzata.

Ma quando tornerà sulla terra, quella fede la troverà ancora, il Maestro rifiutato dalle regole del sistema?

O incontrerà solo uomini terrorizzati da quello che hanno scoperto prendendo a piene mani dall’albero della memoria che svela il bene e che apre gli occhi al male? I suoi frutti sono allucinazioni ridondanti e abbacinanti. Saperne di più non fa altro che costringerci a dormir poco ed a svegliarci di sobbalzo, sbranati dal mostro di quel che c’è già noto.

Il mostro verrà – e questo lo pre-vediamo.

Che poi se ne conoscano agguati e inganni in fondo aiuta poco.

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